XV GIORNATA DI PREGHERIA E DIGIUNO PER I MISSIONARI UCCISI SPERANZA PER IL MONDO

Occorre che le chiese locali facciano di tutto per non lasciar perire la memoria di quanti hanno subito il martirio (Giovanni Paolo II)

 

Come non dedicare un ricordo speciale, carico di affetto e di profonda commozione a tanti missionari, martiri della fede in diverse parti del mondo che, come Cristo, hanno dato la vita versando il proprio sangue? Ecco perché sabato 24 marzo 2007 alle ore 18.30 nell’antica Cattedrale di Bojano, noi ministranti della scuola superiore della parrocchia di Jelsi ci siamo riuniti intorno al Padre Arcivescovo Mons. Dini, con sacerdoti e fedeli di diverse comunità dell’Arcidiocesi di Campobasso-Bojano, con il coro giovanile della parrocchia di S. Erasmo in Bojano, per la preghiera e la celebrazione eucaristica, organizzata dal Centro Pastorale Diocesano (in particolare dalla Pastorale Giovanile e dall’Ufficio missionario) nella XV Giornata di preghiera e digiuno per i missionari uccisi speranza per il mondo.

I martiri sono l’espressione più bella dell’incarnazione del Vangelo, sono l’esempio concreto del coraggio che deriva dalla fede e di un amore senza confini, ad essi il Signore ha chiesto la suprema testimonianza del sangue. «Siate sempre aperti allo Spirito di Cristo e, pertanto, siate attenti a quelli che hanno sete di giustizia, di pace, di dignità, di considerazione per essi stessi e per i loro fratelli. Vivete tra voi secondo la parola del Signore: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13, 35). » (Benedetto XVI)

La liturgia è iniziata con la spiegazione delle diverse tappe e dei segni inerenti il senso del martirio e con lo snodarsi della processione iniziale conclusasi con il collocare vicino l’altare la Croce missionaria (con i colori dei cinque continenti) e il drappo rosso, segno del sangue versato.

Subito ci siamo posti in ascolto dei testimoni, che hanno amato e servito Gesù fino in fondo, in modo credibile, fino al dono di sé; in ascolto di persone che hanno dato pieno significato alla vita, che hanno speso la loro esistenza nell’andare contro corrente, superando ogni paura e facendosi carico della diffusa aspirazione alla giustizia, allo sviluppo, alla solidarietà, alla libertà, alla sicurezza, alla pace, alla difesa della vita, dell'ambiente e delle risorse della terra. Il lungo martirologio che annovera ben 24 missionari uccisi nel 2006, tra cui 17 sacerdoti, 1 religioso, 3 religiose, 3 laici (di cui 11 uccisi in Africa, 8 in America, 4 in Asia, 1 in Oceania) è iniziato con la presentazione dei tre martiri italiani: don Andrea Santoro, Mons. Bruno Baldacci, Suor Leonella Sgorbati.

Don Andrea Santoro, sacerdote Fidei Donum della diocesi di Roma, è stato ucciso a Trabzon in Turchia, il 5 febbraio 2006 mentre era raccolto in preghiera nella chiesa di Sancta Maria Kilisesi.

Scrive il Card. Ruini: «Amare incondizionatamente, essere sempre disponibile all'accoglienza, offrire occasioni di incontro e di dialogo, testimoniare il perdono, affermare la sua continua disponibilità al confronto, reprimendo ogni umano moto d'ira, soffocando l'egoismo, combattendo i propri limiti per rimanere coraggiosamente fedele alla chiamata di Dio: questo è stato il filo conduttore che ha sempre seguito don Andrea, e che ha specialmente contraddistinto gli anni della permanenza in Turchia».

Suor Leonella Sgorbati, Missionaria della Consolata, è stata uccisa il 17 settembre 2006 a Mogadiscio in Somalia. È stata colpita a morte mentre si recava all’ospedale in cui prestava servizio e in cui aveva avviato una scuola di scienze infermieristiche. Con suor Leonella, nel tentativo di salvarla, dopo che il primo sparo l’aveva raggiunta, ha versato il suo sangue anche Mohamed Mahamud, un Somalo, musulmano, sposo e padre di quattro figli. Le Missionarie della Consolata la ricordano come “cosciente dei rischi” ma lontana da sentimenti di paura, disinteressata alla sua difesa e protezione e “preoccupata solo di condividere la sua gioia e i suoi talenti con gli altri”. Ha sempre avuto coscienza dei rischi che correva, ma ha sempre avuto anche la speranza che le veniva dal vivere insieme alla gente di Mogadiscio, di lavorare insieme, cristiani e musulmani. Una donna che ha dedicato la sua vita al servizio dei più deboli, dei più indifesi e dei più bisognosi, al di là di ogni distinzione etnica o religiosa, offrendo una esemplare testimonianza di amore e di dedizione alla causa della solidarietà e della pace tra i popoli. Diceva spesso: “Stare vicino alla gente di Mogadiscio, vivere con loro, tra loro, condividendone speranze, gioie e sofferenze. Questa è la mia missione”. Le armi hanno segnato la conclusione di questa tappa della vita di suor Leonella, ma non hanno spento la Parola, che ha continuato a riecheggiare in lei fino all’ultimo, come sintesi del Vangelo creduto, amato, vissuto: «perdono, perdono, perdono...» Parole chiave, cuore del cristianesimo e cuore della missione, sussurrata per tre volte ai suoi assassini.

Mons. Bruno Baldacci, sacerdote Fidei Donum della diocesi di La Spezia (Italia), 63 anni, è stato ritrovato la mattina di giovedì 30 marzo nella sua stanza, presso la parrocchia di Nosa Senhora das Candeias di cui era parroco, a Vitòria da Conquista, stato di Bahia (Brasile). La segretaria e la portinaia lo hanno trovato che giaceva sul letto, nella sua stanza, con evidenti segni di percosse, mentre il locale era stato messo a soqquadro. Mons. Baldacci aveva trascorso 42 anni in Brasile, ove era giunto seguendo un vescovo missionario. Negli ultimi tempi si era dedicato in particolare ai poveri ed a strappare i giovani dalla tossicodipendenza.

L’esempio dei martiri aiuta a superare ogni forma di chiusura e di intolleranza e diventa per la Chiesa e per tutti segno del dialogo e della comprensione tra culture e religioni. E’ nel segno di questo dialogo che sono stati presentati con il pane e il vino, cinque ceri colorati. Il cero bianco per rappresentare l’Europa con il Papa, il cero verde per le foreste dell’Africa, il cero azzurro per le acque dell’Oceania, il cero rosso per i pellerossa che abitavano l’America e il cero giallo per i popoli dell’Asia. Tutto ciò celebrando la Speranza che la Luce del Signore possa essere accolta da ogni popolo e possa illuminare ogni cultura. Infine i ragazzi hanno presentato nel segno del globo l’affidamento al Signore per la nostra terra, come simbolo dell’intera umanità che cerca il Suo volto, che anela a Lui, poiché celebrando sempre l’incontro con il Datore di ogni dono e di ogni bene, si rinnovi e cresca nella Speranza. “E’ l’ecumenismo dei martiri e dei testimoni della fede – diceva Giovanni Paolo II - che indica la via dell’unità ai cristiani del ventunesimo secolo. Che il loro sacrificio sia concreta lezione di vita per tutti”.

L’intera celebrazione è stata presieduta dal Padre Arcivescovo Mons. A. Dini che ha partecipato con fervore, spiegando con intensità le tappe della veglia, e che di fronte alla testimonianza dei martiri ricordati ha invitato l’assemblea a stare in piedi durante la lettura dell’intero martirologio. Mons. A. Dini nell’omelia ha definito i martiri missionari “segni preziosi dello Spirito”, il cui seme generoso è auspicio di nuovi frutti per la Chiesa e il mondo intero. Ha sottolineato che i martiri uccisi hanno incontrato Gesù e lo hanno fatto incontrare. Essi sono la risposta all’appello evangelico: “Vogliamo vedere Gesù”.

Davvero ogni anno dinanzi al numero crescente di tali testimoni, ogni razza, ogni popolo e nazione può scorgere il volto di Cristo proclamato fino in fondo. Tutti conosciamo la parabola del seminatore (Lc 8,4-15), ognuno di noi è chiamato ad essere terreno buono dove il seme della Parola di Dio trova generosa accoglienza. Con la loro vita, donata fino in fondo, i martiri sono veramente terreno fertile, testimoni fedeli dell’Amore di Cristo per tutti. Essi sono messaggeri della speranza in Dio. Questo non è un compito riservato ai martiri o agli uomini e alle donne di Chiesa; come la Samaritana, chi ha incontrato Gesù non può tenere per sé questa buona novella che cambia la vita: anche noi siamo mandati, dobbiamo sentirci inviati, portatori della buona novella. Infatti la speranza è giustificata solo in coloro che camminano. E’ degna di credito solo la speranza che rischia, quella che lotta contro ogni ingiustizia e contro ogni menzogna e conformismo. La speranza ci è data per servire, e per questo servizio oggi, ci è richiesto soprattutto una testimonianza coerente, una vicinanza samaritana, una presenza profetica. C’è una Speranza che resiste contro qualsiasi delusione e sconfitta, che non viene meno perfino con la morte. Questa Speranza non delude perché trova fondamento in Dio. I martiri sono stati e sono eloquenti testimoni di questa speranza che non muore.

La speranza s’incarna nel martire, diventa il coraggio del martire e nasce dalla nostalgia profonda per una pienezza d’amore, di comunione, di fraternità e di giustizia. Il martire provoca alla speranza. L’atto finale della sua esperienza terrena sollecita la speranza in chi resta. E’ un seme che muore, ma anche promessa di spighe abbondanti. E’ chicco di grano affidato allo stridore del mulino, ma contiene già la fragranza del pane caldo. Dunque la forza del martire è nella speranza che lo abita, nel fare della sua vita il luogo di una presenza che tutto e tutti sorpassa, di una ragione che supera ogni altra ragione, di un senso che contiene qualsiasi altro senso.

Il martire è una persona della fede quotidiana, fedele al Vangelo di Cristo e al servizio dei più poveri. Egli muore per dare la vita agli altri, per salvare gli altri e non per toglierla. Egli muore in nome di Colui per il quale già in partenza aveva offerto la sua vita, aveva deciso di vivere per Lui! Il sangue versato dai martiri si fa goccia che alimenta quel fiume di grazia sgorgato dal costato lacerato del Cristo. La loro morte assume la forma della Croce. E’ la testimonianza portata a compimento. “Come Cristo, il martire muore a braccia spalancate: abbracciando, cioè. Muore restando in piedi: da risorto, cioè. Muore dicendo “si” nell’attimo stesso di morire”. “Finchè esistono questi agnelli che dipingono gli stipiti del mondo con il proprio sangue, il mondo può ancora sperare e credere nella vita”.

Per tale motivi la testimonianza dei missionari uccisi è più che mai attuale nel nostro mondo del benessere, per farci uscire dal nostro egoismo ed aprirci ai valori che rendono la vita bella e degna per ogni persona. La Chiesa universale infatti è vivificata dal sangue dei martiri per continuare con coraggio e fermezza la sua missione di evangelizzazione nel mondo; ogni persona di buona volontà riscopre i valori del Vangelo e s’impegna per un mondo di giustizia e di solidarietà; ogni cristiano si apre con slancio e senza timore all’amore del Padre, pronti a comunicarlo agli altri con l’esempio della vita, come don Stefano già parroco di S. Erasmo in Bojano che ha donato senza riserve la sua vita per salvare gli amici.

Dal sangue eloquente di questi testimoni di Cristo accogliamo l’invito ad essere forti nella fede, a sperare in un futuro migliore, a trasformare le coscienze, a superare divisioni, ad allargare gli orizzonti, a credere che una nuova umanità è possibile; in una parola ad orientare lo sguardo e il dono dell’esistenza verso la direzione giusta: il Regno di Dio, regno di giustizia, d’amore e di pace. Invito che oggi si fa urgente di fronte a un mondo che a volte ha paura del futuro e sembra smarrito, di fronte a uomini e donne che demoralizzati non sono più capaci di sollevare lo sguardo, di guardare in alto e di sognare. E’ allora che nelle molte oscurità del nostro mondo, i martiri cristiani  danno lo slancio per nuovi cammini, brillano come le stelle del cielo e con la loro testimonianza rischiarano il cammino dell’umanità verso la vera luce che è Cristo.

I ministranti jelsesi delle superiori