2005 Bicentenario Festa del Grano Sant’Anna

Padre Bernardo D’Amico o.f.m.

 

La storia dell’emigrazione a Jelsi" e nel Molise  evoca subito l'immagine della "grande emigrazione,' il drammatico spostamento di milioni di uomini oltre oceano nel trentennio compreso tra gli anni Ottanta del secolo XIX e la vigilia della Grande Guerra. Il tema dell’emigrazione a Jelsi e nel Molise abbraccia i tempi, i percorsi, i protagonisti dell'intera storia dell'emi­grazione italiana verso l'Europa e l'America. La pubblicazione “online” dell’autoBiografia di Padre Bernardo D’Amico apostolo degli emigrati in Argentina ed Uruguay seppur rilevante soprattutto per la Comunità di Jelsi  si inquadra nelle iniziative che danno conto dei movi­menti migratori italiani nel contesto di quelli europei per poi "restringersi" ad analizza­re in dettaglio geografia e struttura dell'esodo, ricostruire politiche e "culture" dell'emi­grazione, dar conto dell'esperienza vissuta degli emigranti - la partenza, il viaggio, la vita e i problemi dell'integrazione nelle comunità d'arrivo – per chiudere infine con i flussi migratori del secondo dopoguerra e con la storica inversione del "saldo" all'inizio degli anni Settanta.

La pubblicazione è stata caldamente sollecitata dagli emigrati di Jelsi in Argentina dove P. Bernardo ha svolto per mezzo secolo il suo ministero missionario e da tutti gli Jelsesi nel Mondo.

Ringrazio la Famiglia D’Amico di Jelsi che ha conservato con grande cura le memorie di Padre Bernardo e ne ha consentito la pubblicazione in occasione del Bicentenario della Festa di Sant’Anna.

Per Jelsi sono in corso ricerche sugli emigrati Jelsesi coordinate dal Prof. Norberto Lombardi responsabile del Forum degli Italiani nel Mondo che saranno pubblicate presumibilmente in occasione del Bicentenario della Festività di Sant’Anna-Festa del Grano il 26 luglio 2005

Padre Liberato Di Iorio Parrocchia “Sant’Andrea Apostolo” - Jelsi

Responsabile Uff. Migrantes  Arcidiocesi di Campobasso-Bojano

 

 

 

FRA BERNARDO D’AMICO

 

 

                  DEDICO

Questi appunti ala SSma. Madre di Dio, dispensatrice di tutte le grazie Vergine Immacolata e regina delle Missioni, che mi protesse sempre e mi concesse, da Dio il perdono dei miei peccati, la Vocazione religiosa, durante la guerra mi salvò da mille pericoli. Mi aiutò negli studi sacerdotali, mi ispirò la Vocazione Missionaria. Mi sorresse e mi sorregge nell’Apostolato di 45 anni nella Repubblica Argentina.

Li consegno ai miei cari nipoti come pegno di santo affetto, unito allo zio sacerdote, Antonio D’Amico, nato nel 1835 e morto nel 1923, grazia speciale che Iddio ha concesso a nostra famiglia.

Mando questi appunti al mio caro nipote Peppino, che vive nella casa paterna, affinché li conservi con altri ricordi dello zio sacerdote e del fratello medico dottor Vincenzo.

                                               Fra Bernardo D’Amico missionario francescano

           Buenos Aires, 20 Agosto 1969.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  Archivio Storico Dott. D’Amico Vincenzo

 

 

ESTRATTI DEL QUADERNO DELLE SUE MEMORIE

APPUNTI PERSONALI DEL RELIGIOSO FRANCESCANO FRA BERNARDO D’AMICO

 

 

            Salvatore D’Amico, undicesimo figlio di Giuseppe e Maria Russocaronte. Nato a Jelsi il 15 marzo 1888, Provincia di Campobasso, Molise. Fui battezzato lo stesso giorno, nella Chiesa Matrice, dall’Arciprete Don Alessandro De Simone. Dato che mia madre non aveva latte, fui allattato dalla signora Gabriella, sposata con Nicola (contadini).

Cresimato a 7 anni dal Cardinale di Benevento Camillo dei Marchesi Direnti. Mi mandarono sei mesi a scuola, e quello stesso anno feci la prima Comunione. Sempre nello stesso anno mi portarono in campagna, dove rimasi fino al 1908. Lavoravo con i garzoni, con gli operai, pascolavo le pecore, aravo, e dirigevo tutti i lavori dei campi.

Mi piaceva studiare: leggevo i giornali dello zio sacerdote e spesso davo delle spiegazioni a mio padre che era analfabeta, e ai miei compagni di lavoro, anche se il mio studio era da autodidatta, senza un metodo e senza delle basi solide.

Ricordo, che un giorno lessi su un libro di geografia, che il Sole era fermo, e che la terra si muoveva intorno al sole, per me fu una grande meraviglia, e così con grande entusiasmo cominciai a raccontarlo ai miei compagni e a tutti quelli che vivevano nelle campagne.

Era l’anno 1900 si aspettava l’entrata del nuovo secolo, pieno di luce e di progresso si cominciava a parlare di luce elettrica, di automobili, di telefono con fili e senza fili.

Mio fratello Vincenzo, studiava medicina all’Università di Roma, durante le vacanze ci parlava del progresso, dell’arte della scienza e scriveva poesie ed articoli che furono premiate diverse volte. Inoltre insegnava a me e  al fratello Antonio nozioni di storia e di geografia così pure mio cugino sacerdote Don Antonio Testa.

 

LA PIETA’

  Fin da bambino mi sentivo chiamato alla pietà,  però nessuno mi animava. Dopo la prima comunione tutti gli anni facevo il precetto pasquale e ascoltavo la Santa Messa la domenica, ma niente di più. Durante l’anno santo mi preparai spontaneamente per il Giubileo.

Quando avevo 15 anni nella mia famiglia ci fu un consiglio che si risolse con l’entrata in Seminario di Benevento, di mio fratello Giovanni, il più piccolo, ma a me non dissero niente. Mio fratello non aveva la vocazione, infatti a 18 anni uscì dal seminario e cominciò la carriera militare.

Io continuavo a lavorare in campagna, già giovinetto leggevo alcuni romanzi e frequentavo alcuni riunioni sociali. Per Carnevale andai una volta in una casa dove si ballava, ma io non sapevo ballare e feci una brutta figura. Già parlavano di fidanzarmi con una ragazza, mai accettai, e così arrivai all’età di 17 anni, quando il Signore mi chiamò a se in modo straordinario.

 

VOCAZIONE

  Nel mese di ottobre 1904, in un giorno di pioggia, non potei andare in campagna, desideroso di leggere, cercai nella biblioteca di mio zio Antonio, e trovai un libro su San Luigi Gonzaga, lo lessi per tre ore finché mi chiamarono a pranzo. Chiuso il libro cominciai a pensare, a riflettere ed ammirare gli atti eroici di questo angelico giovane ricco che disprezza il mondo, rinuncia e lascia tutto per consacrarsi tutto a Dio. Mi sembrava un sogno, ma era proprio la voce del Signore che mi chiamava per seguirlo. Misi in tasca il libro lo portai con me in campagna e lessi fino all’ultimo capitolo. Dopo pochi giorni tornai nella biblioteca e trovai un altro libro: era La vita di San Ludovico, francescano, e vescovo di Tolosa, morto a ventiquattro anni. Lessi questa ammirabile vita e la luce del fuoco divino riempivano la mente ed il cuore. Continuai a leggere le vite dei santi, Santa Caterina da Siena, veglie e confessioni di Sant’Agostino e altre ancora.

 

IL TRIONFO DELLA GRAZIA

 

 

   Commosso e quasi piangendo, passai quindici giorni in lotta tra la carne e lo spirito. Finalmente tornò la calma, una voce di una immagine invisibile mi fece conoscere la volontà di Dio. Continuai la buona lettura in particolare la vita dei Santi, tutti i libri della biblioteca di mio zio. Di solito leggevo di notte, perché il giorno dovevo lavorare.

La lettura mi appassionava e mi illuminava, ma mancava il fuoco, cioè l’orazione. Tra i libri di mio zio trovai un Devozionario. Cominciai a leggerlo e poi a meditarlo, lo portavo sempre con me e meditavo mentre pascolavo le pecorelle. Dopo un mese di lettura e meditazione diventò una regola di vita. Pregavo e meditavo tutti i giorni

E ricevevo i santi sacramenti tutte le domeniche.

Mi confessavo con l’arciprete Don Michele D’Amico, ottimo sacerdote. Dopo molte orazioni e meditazioni conobbi che era volontà di Dio che mi diceva di abbandonare il mondo per sempre. Ma dove andare? In un convento a pregare? Studiare, farmi sacerdote missionario? Dopo lunga meditazione presi una decisione, ma non la manifestai a nessuno. Poi pensai alla situazione familiare, mio padre era anziano,e mio fratello Antonio, era stato chiamato al servizio militare e dopo di lui chiamarono anche me per tre anni. Così dopo aver pregato lungamente  decisi di lasciare la casa paterna dopo la leva.

 

MORTE DELLA MAMMA

  A 55 anni già inferma di cuore, morì la cara mamma, il 16 gennaio 1906. In quel tempo vennero in paese i missionari passionisti. Dopo la santa missione diverse ragazze e ragazzi incominciarono a sentire la vocazione, fra le quali mia sorella Concetta, pochi perseverarono, io animavo i nuovi aspiranti.

La mia buona mamma quando era malata, mi disse che io avevo ricevuto qualche grazia speciale del Signore. Un giorno mi chiamò e mi disse: “Salvatore, che pensi di fare? Ti vedo così assorto”. Risposi: “mamma, mi farò religioso, sacerdote e missionario”. Mi benedisse e si tranquillizzò.

Dopo la morte della cara mamma, le sorelle si fecero carico della casa, ed io aiutavo l’anziano babbo, specialmente nei lavori dei campi. Continuavo con il mio metodo di vita ORA ET LABORA.

Nel 1907 mi toccava il servizio militare, fino ad allora non ero mai uscito di casa, chiesi e visitai il santuario di San Michele nel Gargano, poi Santa Filomena e Maria Vergine di Pompei.

 

VITA MILITARE

  Il 10 di ottobre dovetti presentarmi al distretto di Campobasso e pochi giorni dopo partii per Torino, come soldato del primo Reggimento di artiglieria da Fortezza. La vita militare fu scandita in tre momenti, primo da circoscritto a Torino, poi a Primolano, Venezia, Ciriè, Venezia. Mi congedai con il grado di caporale maggiore  nel settembre 1910.

Quell’anno si approvò la legge che invece di tre anni il “militare” era stato ridotto a due. Pensai di rimanere a Venezia, mi recai al convento dei padri francescani, per chiedere di studiare, ma non vollero ricevermi, allora dovetti tornare al paese, alla casa paterna.

Quasi tutti mi dicevano, sei grande, devi sposarti, e devi aiutare tuo padre, dico quasi tutti, perché c’erano anime sante che pregavano perché io perseverassi nella mia vocazione, fra queste il mio confessore. Ed io povero, triste indeciso cercavo di tornare alla vita di tutti i giorni. Lottai per sei mesi, con queste angustie, mi chiedevo cosa fare in futuro, mi sposerò e la promessa fatta al Signore? Indeciso e tormentato da rimorsi, un giorno scrissi una lettera alla ragazza che apprezzavo ed amavo, ma anche lei aveva deciso di consegnarsi al Signore tutta la vita.

Questa santa giovane, dopo essersi consigliata con il confessore, che era anche il mio, mi rispose con parole dolci e precise: “Abbiamo promesso al Signore e dobbiamo essere fedeli, pregherò per la tua perseveranza”. Lessi e rilessi, e poi confuso e vergognato della mia debolezza, chiesi perdono a Dio e alla santa giovane e promisi essere fedele fino alla morte, alla grazia della vocazione.

 

SECONDA CONVERSIONE

  Come il figliol prodigo tornai dal padre spirituale, mi confessai e chiesi consiglio per risolvere il mio grave problema, non potendo studiare come sacerdote, pensai di rimanere fratello laico. Restava il problema dove, nella congregazione del Preziosissimo Sangue a Benevento. Il mio confessore scrisse subito al Padre Francesco Principe Superiore il quale rispose subito affermativamente.

 

FRATELO LAICO   

  Dopo pochi giorni lasciai il mio paese e la mia famiglia e andai a Benevento. I missionari del Preziosissimo Sangue mi ricevettero con gioia e in pochi giorni diventai pratico della casa e della Chiesa. Ero molto contento.

Dopo due mesi venne a Benevento P. Antonio Velardi da Roma, che era il segretario generale della congregazione mi salutò soltanto molto cortesemente. Nei giorni seguenti arrivò l’obbedienza del Rev.mo Padre generale e io dovetti partire immediatamente per Roma alla Casa generalizia in via Poli 1. Ero un pò agitato, non conoscevo Roma e ne sapevo le intenzioni del Padre Generale, mi ricevette con un abbraccio paterno e poi mi disse cosa dovevo fare in casa e in Chiesa.

Dopo due mesi l’Italia dichiara guerra alla Libia,  chiamarono anche la mia classe del 1888. Dovevo presentarmi a Torino, ma andai a Roma, al 30 esimo reggimento di artiglieria, mi concessero di stare a Roma e non mi obbligarono di partire in guerra.

Quasi tutti i giorni uscivo per conoscere un pò Roma, e tutte le sere andavo a trovare il Padre Generale. In quel periodo veniva a trovarmi anche  mio fratello medico, il quale parlò con il mio Padre superiore del mio stato di fratello laico.

 

FRANCESCANO

  Dopo mesi che stavo a Roma mi presentai vestito da militare, al Convento di Aracoeli chiesi di parlare con il Revmo. Padre Provinciale, Nazareno Paris. Gli manifestai il mio desiderio di farmi religioso francescano, e quindi studiare come sacerdote. Dovetti superare alcune prove e mi accettarono come studente del Collegio Serafico di Orte. Il giorno di san Giuseppe, mi congedai la seconda volta e andai a Jelsi dalla mia famiglia, in pochi giorni mi prepararono il necessario e ripartii per Roma.  Poi  mi trasferirono ad Orte al Collegio serafico, qui mi accolsero bene, dormivo con i frati e studiavo con i ragazzi,studiai a maggio e giugno e poi feci gli esami e passai al secondo ginnasio. Durante le vacanze studiavo la grammatica e l’aritmetica, ad ottobre cominciai l’anno scolastico regolarmente, a febbraio passai il terzo ginnasio. Dopo gli esami di giugno, mi mandarono al Noviziato. Tale notizia mi rallegrò molto, a fine di agosto partimmo in treno fino a Subiaco, proseguimmo a piedi fino a Bellegra, al convento del Santo Ritiro, dopo vestii l’abito di San Francesco. Fu il giorno più bello della mia vita, e l’anno più felice. Eravamo dieci novizi, sette del collegio serafico e tre persone più grandi di noi.

 

PRIMA GUERRAMONDIALE

  Durante il noviziato non si leggevano giornali, ma si parlava della guerra del pericolo che anche l’Italia entrasse a farne parte. Si pregava per la pace, il Santo Padre, Pio X che tra l’altro avevo conosciuto, moriva a Roma il giorno 4 Settembre 1914. In quel giorno andai a Roma con il padre Celso Spagnoli, durante il cammino apprendemmo la notizia che era stato nominato Sommo Pontefice il Cardinale Eugenio della Chiesa prendendo il nome di Benedetto XV. Il sei ottobre tornai al mio collegio, dove iniziai il quarto anno di liceo.

 

PARTENZA PER LAPRIMA GUERRAMONDIALE. 1915

  Fui il primo ad essere chiamato tra i miei compagni, ma rimasi pietrificato come una statua ad una simile notizia. Ma il dovere chiamava. Mi fermai prima a Roma e mi congedai con calorosi abbracci, poi mi fermai al paese per salutare mio padre, le mie sorelle e l’anziano zio sacerdote, lasciai il mio abito francescano in custodia a mia sorella Concetta. Le raccomandai di dire tutti i giorni un pater nostro, a San Francesco affinché potessi tornare ad indossare quell’abito e continuare a fare la mia vita di francescano. La mia destinazione era Belluno. Arrivai dopo due giorni dalla visita ai miei cari, dormivo su un pò di paglia e si mangiava male, qui conobbi molti religiosi e civili.

 

24 MAGGIO DICHIARAZIONE DI GUERRA

  Io ed altri caporali maggiori rimanemmo quindici giorni senza essere chiamati, ma il 10 giugno ci chiamarono e ci diedero un solo foglio di viaggio, dopo due mesi di preparazione partimmo per il fronte a Cortina d’Ampezzo. Durante una operazione venne a parlarmi il Capitano, mi disse che veniva trasferito e mi volle lasciare tutti i documenti e il denaro, e mi diede  la responsabilità di salvare quello che si poteva salvare, specialmente i soldati e ci congedammo con un “Evviva la Patria”. Commossi ci abbracciammo e non ci vedemmo mai più. Presi questo ordine con grande impegno e orgoglio. Intanto vicino a Cortina arrestavano tutti i civili, finalmente un generale diede ordine di ritirata  nel mio Reggimento, l’unico mezzo di locomozione era la camionetta, salirono su  stretti come delle sardine. Io e il mio compagno di fureria andammo in bicicletta fino a Belluno, passammo sul Piave prima che saltasse il ponte.

 

DOLOROSA RITIRATA DI CAPORETTO E DIFESA EROICA DEL MONTE GRAPPA

   Passato il Piave ci fermammo ai piedi del monte Tomba, ancora c’erano alcune famiglie, ma  avevano l’ordine di sfollare, avevano fatto buone provviste di generi alimentari, c’erano diverse botti di vino di mele, castagne e tanti altri frutti. Contai i soldati ed erano tutti, i quattro cannoni, e gli altri strumenti di batteria. Dopo due giorni di riposo sopra il fieno, detti ordini di andare avanti secondo le indicazioni del comandante, il giorno seguente partii con i migliori uomini della Fureria.

Per venti giorni patimmo quasi la fame, poi finalmente mi chiamò il comandante dicendomi: “D’Amico è da tanto che non  arrivano i soldi e molti reclamano”. Risposi: “Signor Comandante ho solo banconote e non monete”. Egli mi diede il permesso di scendere al primo paese ancora popolato, che incontrassi durante il mio cammino, per poter fare delle provviste di cibo. Arrivai a Crespano del Grappa e trovai il tempo di visitare anche la chiesa, lì c’era una statua della Madonna del Grappa benedetta dal Santo Padre Pio X, allora Patriarca di Venezia ed ora Santo canonizzato, io ebbi il piacere di conoscerlo nel 1911.

La statua era stata colpita da una granata, si spezzò un braccio e cadde Gesù Bambino, un cartello diceva: “Sarà ricostruita nell’ arsenale di guerra e riportata in trionfo sulla cima del Grappa”. Pregai molto, cambiai il denaro passai una giornata serena a mangiare nella piazza del paese. Il viaggio di ritorno al mio reggimento lo feci con una mula, quando tornai i miei compagni mi accolsero con tanta felicità, tornò un pò di calma, così passò tutto il mese di novembre.

  Ma il nemico si avvicinava, e preparava la grande offensiva per occupare il monte Grappa, scendere in pianura ed arrivare fino a Roma per dettare la pace ignominiosa.

Fu allora che lo spirito di Patria si svegliò nei cuori e nelle menti, a tutti i veri italiani che giurarono di morire per la Patria. Il 4 Dicembre gli austriaci e i tedeschi lanciarono l’annunciata offensiva, dalle sei del mattino alle diciotto fu un diluvio di fuoco. Il mio battaglione si trovava in un punto avanzato precisamente a tre chilometri dalla linea nemica. Il giorno della offensiva eravamo pronti per la difesa, ma il fuoco nemico era così intenso che batteva ogni piccolo settore, rotte tutte le nostre linee di comunicazione non c’era più difesa nelle nostre linee. Morì il vice comandante e  diversi cannonieri. Eravamo a digiuno sentivamo un gran freddo, si aspettava la morte. Anche io mi sentivo perso, uscii dalla caverna per raccogliere i morti e i feriti, incontrai il comandante quando il fuoco nemico faceva ancora strage, ma dopo le diciotto, il fuoco cessò di colpo, uscimmo dagli accampamenti, per recuperare i corpi degli altri poveri caduti. Finalmente potemmo riposare. La mattina seguente  feci preparare il salmone per colazione perché non c’era più carne. Quando feci chiamare i soldati un esercito di prigionieri tedeschi  e austriaci passavano vicino a noi. Cosa era successo? Quattrocento arditi italiani avevano salvato il Monte Grappa, con la loro valorosità avevano sconfitto il nemico, anche se ci furono più di diecimila morti. Il giorno di Natale, il generale vedendo la nostra batteria in una posizione piuttosto avanzata, ordinò di trovare un'altra posizione. Indietreggiammo di tre chilometri. Così passò l’anno 1917.

In seguito ci portarono nella galleria Vittorio Emanuele lì si stava più sicuri, il nemico attaccava ma senza risultati. Poi venne l’epidemia della spagnola ci fu più dell’80% di infermi, ma grazie a Dio nessun morto. In questo modo il Monte Grappa rimase inespugnabile.

Venne la battaglia del Piave noi eravamo di fronte, vedevamo tutto, dopo diversi giorni di pericoli e di ansie la vittoria fu nostra.

 

FINE DELLA GUERRA MONDIALE 1914 – 1918

  Dopo la battaglia del Piave il nemico si rese conto che il fronte italiano riformato dagli alleati era forte, allora non preparò nessuna offensiva, ma ci furono attacchi a sorpresa, incursioni da maggio a ottobre. Un giorno il cappellano venne a celebrare la santa Messa nella galleria Vittorio Emanuele dove eravamo tutti accampati, lo aiutai e recitai il Rosario .Approfittando della relativa calma i soldati a turno scendevano per un mese alla pianura per riposare. Toccò anche a me, scesi dal Monte Grappa in un villaggio vicino a Crespano, ricevevo e trasmettevo notizie al comando, ed attendevo il magazzino di rifornimenti e del vestiario, spesso davo anche ai civili qualche indumento.

Era il mese di ottobre si parlava di armistizio, poi apparvero dei cartelloni nei quali si diceva che erano stati occupati Trento e Trieste. Le campane che da un anno erano ferme incominciarono a suonare, si piangeva di gioia, tutti si abbracciavano e si baciavano, e si chiedevano notizie sempre più concrete. Si seppe che il 4 novembre Italia ed Austria avevano firmato l’armistizio, si aspettava la capitolazione di Alemania che avvenne giorno 11 novembre. Quel giorno fu una grande festa, pranzi, giochi e discorsi, e poi ci fu l’ultimo annuncio che la Germania aveva fermato l’armistizio.

La mia batteria fu una delle prime a scendere dal Monte Grappa, portarono anche i morti caduti nella battaglia, riorganizzammo le file e portammo i nostri cari defunti nel cimitero di Crespano, ad ognuno mettemmo la croce con il nome.

In quei giorni, la mia famiglia mi avvisò che mio fratello Giovanni da tre anni prigioniero, era tornato a Milano. Chiesi permesso ed andai a Milano. Tornando in batteria portai fiori che portammo ai nostri cari defunti. Già era il 1919, incominciò il congedo delle classi fino al 1887, ma la mia rimase fino al mese di giugno. Sciolsero la mia batteria ed il personale fu incorporato all’artiglieria Campale con sede a Gemona. Io come furiere dovetti riportare i cannoni ed altri strumenti al distretto di Ancona da dove eravamo partiti.

Io portavo un caporale e un soldato, quando arrivammo ad Ancona arrivò anche il reggimento 31 di artiglieria di campagna, al quale eravamo aggregati in guerra. Fummo ricevuti con grande festa sotto gli archi di trionfo. Dopo quindici giorni ad Ancona, il congedo non arrivava, tornai al fronte alla batteria Campale con sede a Farla vicino a San Daniele. Di lì a Gemona, poi a Bontebba e poi in Austria. Mentre mi trovavo in Austria arrivò il congedo della mia classe 1888. Andai subito a Jelsi alla mia casa paterna, con gioia ripresi il mio abito francescano, che avevo lasciato in custodia a mia sorella Concetta. Andai a Pompei a ringraziare la Madonna. Tornai a Roma feci gli esercizi spirituali a Bellegra poi di nuovo a Roma dal Luglio a 1919 fino a tutto Settembre dello stesso anno.

 

STUDI FILOSOFICI E TEOLOGICI A ROMA E PARTENZA PER LE MISSIONI

  Ritemprato nello spirito e nel corpo mi preparai per continuare gli studi. Non avevo finito gli studi ginnasiali per la guerra, quando rientrai avevo trent’un anni, il mio padre Provinciale ritenne opportuno farmi studiare la filosofia, e andai a Bolsena. L’anno 1920, il giorno di San Francesco feci la Professione solenne. Terminato il secondo anno di filosofia mi mandarono a Roma per studiare la teologia. Durante l’estate studiai altri trattati di filosofia. A Roma nel 1922 incominciai la teologia dogmatica e morale, il diritto canonico, la storia, la lingua ebraica e la sacra scrittura e quattro anni di liturgia fui ordinato sacerdote dopo il terzo anno ma da sacerdote completai il quarto anno.

 

MISSIONARIO

  Terminati gli studi feci la domanda per poter essere missionario in Cina, ma a quel tempo a Roma c’era il reverendo padre Gabriele Tommasini, commissario della Commissaria di Salta, Argentina fondata nel 1923 dalla nostra provincia di Aracoeli. Il Reverendo padre mi pregò affinché lo seguissi in America Latina, ed io per obbedienza e per essere riconoscente alla Provincia di Roma che mi aveva ricevuto e preparato fino al sacerdozio, accettai e mi preparai per viaggiare con altri miei due confratelli: padre Angelico Scipioni e padre Cipriano Petroselli.

 

ANNO SANTO 1925

  Prima di partire visitammo quattro basiliche per guadagnare il Giubileo, andammo più volte dal Santo Padre Pio XI, e poi ad Assisi. Prima di partire ci concessero di andare a salutare le famiglie. Alla fine di Ottobre ci imbarcammo a Napoli sulla nave Nazario Sauro, a Napoli mi accompagnò mio cognato Donato Capozio, con le due figlie che entravano in collegio. Viaggiammo in seconda classe, si stava bene, la prima sosta la fece a Palermo, poi a Dakar dove conoscemmo i veri negri dell’Africa, Rio de Janeiro,Santos, Monte Video e finalmente arrivammo a Buenos Aires, dopo ventiquattro giorni di viaggio. Poi viaggiammo in treno fino a Salta, alla stazione trovammo il padre Raffaele Gabelli, lui ci offrì il pranzo e ci accompagnò in convento. Dopo tre mesi che stavamo nel convento di Salta incominciammo a predicare ed a confessare, rimasi in quel convento fino al dicembre 1929. Mi nominarono sagrestano maggiore poi direttore della scuola del centro del catechismo e della gioventù antoniana. Nel 1927 feci un giro missionario nella parrocchia di Oràn e Rivadavia. Tornato al convento mi nominarono procuratore e poi vicario del convento. Nel 1928 il padre guardiano andò a Roma ed io diventai superiore. Tornato dopo un pò di tempo il padre guardiano, io feci varie missioni nei dintorni di Salta. Nel Dicembre 1929 senza consultarmi, mi nominarono Parroco e Vicario foraneo di Oràn.

 

MIA SITUAZIONE NELLA PARROCCHIA DELLA NUOVA ORÀN 1930 - 1944

  La parrocchia di Oràn fu sempre dipendente della Curia di Salta, elevata a vicaria Foranea rimase sempre così, fino a quando fu creata la diocesi nel 1960. La creazione della parrocchia di Oràn va con la fondazione della città avvenuta nel 1792. Io successi a padre Sebastiano Cuenca, missionario francescano, prima di lasciarmi tutti gli incarichi mi fece presente che quella parrocchia era molto difficile evangelizzarla, per tanti motivi soprattutto per le mancanze di strade che rendevano difficili i collegamenti tra i villaggi, e poi per una forte dose di superstizione tra gli abitanti  Ma con molta volontà e fiducia in Dio cominciai  ad organizzarmi. C’era tanta gente bisognosa, molti venivano dalla grande pianura del Chago, una delle popolazioni più lontane era la colonia di Rivadavia a centocinquanta chilometri da Oràn. Questa gente aveva bisogno di tutto. Io cercavo in tutti i modi di andarli a trovare ogni quaranta giorni, attraversando strade impervie e piene di pericoli, erano pieni di animali esotici. Torniamo alla città, la piccola città di Oràn si va trasformando, nel 1933 ha l’acqua potabile, poi le strade principali vengono asfaltate, feci aggiustare la Chiesa, la sacrestia il deposito, e poi la casa parrocchiale, la cucina il salone per le riunioni dell’azione cattolica e per le opere sociali.

Anche al collegio Sant’Antonio si fecero molte opere, cercai di far fare i lavori nel miglior modo possibile, prima vennero attivate soltanto due aule, poi ne diventarono otto, feci fare un mosaico nella cappella, un campo da pallacanestro per i giovani, fece fare cinque piani pieni di aule, acquistai un pianoforte. Nel 1940 si inaugurò la sala di dattilografia, quindi la scuola tecnica, poi si fondò la Pia Unione di Sant’Antonio.

Nel 1943, io e un mio confratello lavoravamo con buoni esiti, quando scoppia la rivoluzione, cambiò il governo e ci fu anche un cambiamento sociale la massa degli operai seguiva Peròn , nel mese di giugno venne l’arcivescovo in visita pastorale, rimase contento e fece elogi specie per l’azione cattolica.

In quel periodo non ero molto in salute mi sentivo senza forze, forse per le continue occupazioni parrocchiali.

 

RINUNCIA DA PARROCO DI ORÀN COMMISSARIO DI SALTA VICE COMMISSARIO T. SANTA.

  L’otto novembre 1943 mi nominarono Commissario provinciale del nord Argentina e per compiere bene la nuova carica, dovetti rinunciare come parroco di Oràn, rimasi solo con la carica di Vicario forneo. Dal 1943 al 1948 mi dedicai di un moto speciale alla vita missionaria nel Nord Argentina.

La seconda guerra mondiale aveva interrotto le comunicazioni con Roma.

Nel mese di ottobre del 1948 vennero a visitarmi il Rev.do padre Balio, ed il padre Angelico Scipioni mio successore ad Oràn.

Libero da ogni responsabilità, ricevuta l’obbedienza del padre generale mi preparai per tornare in Italia dai miei cari dopo ventiquattro anni. Furono otto mesi di pace e serenità, vidi che l’ Italia non era ancora del tutto ricostruita dopo la seconda guerra mondiale.

Al viaggio di ritorno portai con me un giovane missionario padre Sebastiano Vinciguerra. Tornai al convento di Salta come Vicario, lì stavo bene.

 

VICE COMMISSARIO DI TERRA SANTA A BUENOS AIRES

  Nel mese di Maggio 1950 mi chiamarono a Buenos Aires e fui nominato vice commissario di Terra Santa, dovetti lasciare Salta e le mie care missioni. Dovetti assumermi con questo incarico molte responsabilità, rimasi in carica per quattro anni e visitai per due volte tutta la Repubblica.

Nel mese di Novembre del 1954 mi ammalai gravemente, per una settimana persi conoscenza, mi portarono a Buenos Aires senza forze persi quasi la memoria, nell’ospedale italiano mi ordinarono di lasciare le attività per un lungo periodo.  

Il padre commissario avvisò della mia grave malattia al padre generale e nominarono a Roma un nuovo commissario e un nuovo vice. Tornai a Buenos Aires e nel mese di Giugno partii per Roma per curarmi e riposare. A Novembre tornai in Argentina a Salta dove rimasi fino al 1957, quando mi nominarono un’altra volta vice commissario di Terra Santa e quindi tornai a Buenos Aires era la fine di Novembre e sono rimasto fino ad oggi: 1969.

 

VIAGGI

  Sono stato quattro volte in Italia: nel 1947 – 1955 – 1962 – 1967.

Nel 1955 sono stato a Lourdes per una settimana. Nel 1962 visitai la Terra Santa rimasi quaranta giorni, e trascorsi anche la Santa Pasqua a Gerusalemme. Nel 1967 visitai quasi tutte le città d’Italia.

 

 

IL POPOLO JELSESE NELLA REPUBBLICA ARGENTINA 1949 – 1969

ASSISTITO DAL PADRE BERNARDO D’AMICO, MISSIONARIO FRANCESCANO

 

   Dopo venticinque anni trascorsi in Argentina per la mia missione, tornai per la prima volta nella mia cara Patria. Quando ripartii per l’Italia, mi imbarcai a Buenos Aires, salutai tutti i miei concittadini Jelsesi tra i quali ricordo i Valiante, Tedeschi, Santella ecc. Alcuni vennero a trovarmi e mi accompagnarono al porto.

Arrivato a Jelsi, trovai un grande movimento e molto entusiasmo ad emigrare in Argentina. A quel tempo le condizioni di viaggio e la situazione economica in Argentina erano buone. Infatti la moneta argentina il peso era pari a centocinquanta lire. Io però esortavo i miei paesani a non lasciare la Patria, e quei pochi beni, per una fortuna incerta e lontana. In quell’anno e poi ancora per dieci anni la migrazione continuò, e vennero in Argentina molte famiglie,comprarono terreni, e costruirono le case. Quando tornai in Argentina nel Novembre 1949 a Salta arrivarono mille e seicento passeggeri in cerca di fortuna.

A Buenos Aires mi aspettavano tutti i miei cari paesani, facemmo una riunione in casa del carissimo Antonio Di Domenico. Li esortai a conservarsi dei buoni cristiani Fu un giorno felice, ci salutammo ci abbracciammo, li benedissi augurandoci tutto il bene. Continuai il mio viaggio a Salta, giunto lì continuai la mia missione.

 

MIO TRASFERIMENTO A BUENOS AIRES. MAGGIO 1950

  Il padre generale e delegato generale F. Pio M. Crivellari con lettere e telegrammi mi chiamò a Buenos Aires per farmi carico dell’opera della Terra Santa in tutta la Repubblica come vice commissario, così il 25 Maggio 1950 mi trasferii da Salta a Buenos Aires. I miei paesani presenti in questa città come seppero che mi ero trasferito, incominciarono a venirmi a trovare, ed io ricambiavo le loro visite andando anch’io a casa loro. Dal primo anno cominciammo  a fare riunioni nella chiesa di San Giorgio dei padri salesiani a Lanus a venti chilometri dalla capitale. In questa chiesa si celebrava tutto, sia le feste locali che quelle del nostro paese, proprio per non fare sentire lontani i miei cari amici. Posso fare un esempio, nel 1952 in occasione del venticinquesimo di professione medica di mio fratello Vincenzo, si celebrò una messa solenne e in suo onore si firmò una pergamena, l’idea fu del sign. Di Domenico. Questa pergamena venne accompagnata anche da una colletta, per aiutare il finanziamento della stampa del  libro Storia di Jelsi. Mio fratello rispose con grande commozione.

Negli anni 1953 e 1954 festeggiamo soltanto in chiesa la nostra festa di Sant’Anna, ma dagli anni successivi  si organizzò con solennità pubblica: messa con diaconi, il panegirico, la processione, la banda, fuochi d’artificio, sfilarono anche le pacchiane, le pecorelle e dei carretti con le trecce di grano. A quel tempo ero molto attento  ai problemi sociali, cercavo prima di tutto di mantenere vivo il rapporto e i contatti tra gli emigrati e le loro famiglie rimaste in Patria.

 

CARTELLA SANITARIA DEL PADRE MISSIONARIO FRA BERNARDO D’AMICO

 

 

  Da piccolo soffrivo di asma, la così detta madre di latte contadina mi lasciava alcune volte al sole. Così i miei bronchi ne risentirono, quando camminavo in fretta e camminavo in salita spesso dovevo fermarmi. Questo problema durò fino ai venti anni, quando feci il servizio militare, mi dava meno fastidio, ma il problema è rimasto per tutta la vita. Tra i dieci e i quindici anni spesso perdevo molto sangue dal naso e mi causò un forte indebolimento, ma presi dei rimedi e non mi successe più.

Durante il servizio militare non ebbi problemi di salute, fui molto fortunato, perché più volte mi caddero vicino delle schegge ma non riportai nemmeno un graffio. Tornato in convento a Bolsena nel 1921, ebbi qualche problema, perché il mio superiore mi mandò a fare propaganda politica per il partito democratico cristiano. Era estate faceva molto caldo sudai e presi una pleurite che non fu curata bene. Poi quando ero già sacerdote stetti a Roma per curarmi e per stare a riposo. Tra il 1925 e il 1929 al convento di Salta stavo abbastanza bene, soltanto un pò di bronchite. Tra il 1930 e il 1934 ad Oràn spesso mi attaccò la dissenteria quindi avevo problemi intestinali. Nel 1934 mentre tornavo dalla missione Finca Sant’Andrea caddi da cavallo e stetti più di un mese con dolori alle ossa. Dal 1934 al 1944 ebbi spesso la febbre, nel 1944 quella da malaria deperito e triste anche per lo scoppio della seconda guerra mondiale il giorno di San Francesco caddi svenuto davanti all’altare. Mi ripresi bene, comunque durante le mie missioni tra Oràn e Buenos Aires  mi attaccava spesso la dissenteria.

Tra il 1950 e il 1969 fui chiamato come delegato generale per farmi carico della Terra Santa in tutta la Repubblica come vice commissario fino al 1954 la mia salute resistette ai numerosi viaggi e a molte sollecitazioni. L’anno successivo per una caduta con il ginocchio destro si gonfiò la gamba, i dottori volevano operarmi, ma un mio amico chirurgo mi estrasse il liquido che si era formato senza operarmi. Nel 1961 questa volta non scampai il bisturi, mi operarono alla prostata alla clinica Marini di Buenos Aires. Nel 1962 quando ero in visita alla mia famiglia mi ammalai di bronchite e di polmonite e mi curò mio fratello. Poi nel 1965 ebbi una bronchite e una polmonite alcuni attacchi al fegato, stetti quindici giorni in clinica. Nel Gennaio del 1967 per un capo giro caddi tre volte e mi curarono nella clinica Omido. Nel 1968 ebbi continui disturbi intestinali e inappetenza, avevo una vescicola che è stata curata bene.

 

SACERDOTE ANTONIO D’AMICO (MIO ZIO) ORDINATO SACERDOTE NEL 1859

 

 

  Nato a Jelsi il 18 Giugno 1835 e morto nel 1923, figlio di Vincenzo, fratello di  mio padre a quindici anni entrò nel seminario di Benevento. Studiò sotto la direzione dei Gesuiti e fu ordinato sacerdote nel 1859, tornò in paese in famiglia, dove rimase fino alla morte. Giovane sano, modesto e simpatico, amato dai superiori e ben voluto da tutti, di sani principi, non volle prendere parte ai moti rivoluzionari del 1860 e per tale motivo fu molestato, accusato e portato due volte al domicilio coatto a Campobasso. Poi fu assolto da tutte le accuse e visse tranquillamente il resto della sua lunga vita.

Fu due volte vicario foraneo e per molti anni fu cappellano della chiesa di San Biagio. Dotato di ottima memoria, bellissima voce ma in tutto questo modesto non si dedicò alla predicazione ma spiegava bene il Vangelo. Aveva buone abitudini, faceva tutti i giorni la passeggiata. Durante tutta la sua vita è stato l’economo della famiglia dei suoi fratelli, lo seppe fare molto bene, tanto che non contrasse mai debiti con nessuno. Pagò la nutrice di tutti e tredici i figli di suo fratello Giuseppe, pagò gli studi ai due nipoti Vincenzo e Giovanni ad anche a me per due anni, fino al noviziato, pagò le doti per il matrimonio a mie due sorelle, e poi anche mia sorella Concetta quando prese i voti per poter studiare a Roma e poi a Bergamo.

Possedeva una biblioteca semplice, ma con molti libri di teologia morale, e diritto canonico, e molte vite dei Santi, fra queste io lessi le più importanti. Voleva bene a tutti i nipoti, morì nel 1923, mentre io facevo il secondo anno di teologia, ma morì contento sapendo che un altro nipote avrebbe seguito la sua strada. Mio fratello Vincenzo dedicò alla memoria dello zio la Storia di Jelsi ed io dedico questa umile pagina in segnale di affetto e di gratitudine.

 

DOTTOR VINCENZO D’AMICO

 

  Sento il dovere di ricordare questo caro fratello, che con il suo ingegno e con la sua professione fece onore alla famiglia e al Paese. Da seminarista e da medico studiò con grande impegno era sempre il primo della classe, conquistò medaglie ed altri premi della Nazione ed anche dal Papa nel 1900.

Si laureò nel 1902 e lo stesso anno cominciò ad esercitare la sua professione in Paese, spesso veniva chiamato anche nei Paesi limitrofi. Durante la prima guerra mondiale venne chiamato al fronte in un ospedale con il grado di Capitano medico. Dopo la guerra tornò al Paese e continuò la sua professione e si dedicò a scrivere molti articoli  ed opuscoli storici e scientifici, come per esempio l’invasione dei Bulgari in Italia. Il libro più importante è intitolato Jelsi e il suo territorio scritto durante la sua gioventù, raccogliendo notizie in molte biblioteche, come per esempio Benevento,  Napoli, Roma. Questo libro, mi preoccupai di “pubblicarlo” nel 1953 in Argentina in occasione delle sue nozze d’argento sia per farlo leggere ai nostri emigrati in America, sia per finanziare dei progetti che avevo fatto in Argentina.

Poi entrò in politica con il partito democratico cristiano fu candidato come deputato e poi consigliere provinciale per molti anni, durante questo lungo periodo si interessò per le opere edilizie del Paese. Al convento fece tornare i frati francescani, fece costruire la scuola per tutto il popolo e tante altre opere. Morì il 20 Agosto del 1965 pianto con gran dolore da tutta la cittadinanza.

 

PONTEFICI CONOSCIUTI DA PADRE BERNARDO D’AMICO 1888 – 1969

 

  Quando nacqui regnava il Pontefice Leone XIII, era savio ed eminentemente sociale. Con la sua enciclica “Rerum Novarum” proclamò i diritti e i doveri di tutte le classi sociali. Celebrò l’anno santo 1900 fu anno di pace, vennero a Roma pellegrini da tutto il mondo, io non andai in quell’occasione avevo appena dodici anni. Leone XIII morì all’età di novantaquattro anni, in quel periodo le relazioni con il governo non erano buone perché il Papa era considerato prigioniero nel Vaticano. Lo successe il patriarca di Venezia il quale prese il nome di Pio X. Nel 1911 ebbi la fortuna di conoscerlo, infatti andai con alcuni miei parenti, gli baciammo la mano e prendemmo l’Apostolica benedizione. Morì nell’Agosto 1914, e fu canonizzato nel 1950 da papa Pio XII.

Successe al trono pontificio il Cardinale di Bologna, Giacomo della Chiesa e prese il nome di Benedetto XV. Io lo conobbi nel 1916 durante il secondo anno della prima guerra mondiale. Ricevetti la comunione dalle sue mani e poi rimasi per cinque minuti a parlare con lui della guerra che era in atto. A Benedetto XV successe il grande Pio XI. Lo vidi diverse volte prima di andare in missione, fu lui a firmare il “Patto del Laterano” per risolvere il grande problema con il governo italiano e così si risolse la questione romana. Questo Papa inoltre, fondò l’azione cattolica. Morì nel 1939 allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Fu eletto Papa Eugenio Pacelli segretario di Pio XI e prese il nome di Pio XII. Consigliò ed esortò alla pace all’Italia e alla Germania ma non venne ascoltato, la guerra fu lunga e disastrosa. Terminò nel  1945 con la vittoria degli alleati con la disfatta del Eje. Il Santo Padre cercò di aiutare tutti, specialmente ai prigionieri e ai rifugiati. Salvò Roma esortando l’esercito tedesco di ritirarsi senza resistenza, Pio XII era stato in Argentina come Cardinale “A Latero” nel 34° congresso eucaristico internazionale. Io non lo vidi perché proprio in quel giorno celebravo nella mia parrocchia la prima comunione a ben duecento bambini. Lo conobbi e ricevetti la sua benedizione al Vaticano nel 1949 e nel 1955 a Castel Gandolfo. Venne a mancare nel 1958. Lo successe il Cardinale  Roncalli  Patriarca di Venezia che prese il nome di Giovanni XXIII, fu il primo Papa, che uscì dalla città del Vaticano, e che firmò il “Patto del Laterano” . Egli proclamò il Concilio Vaticano Secondo, morì nel Giugno 1963, fu pianto e venerato in tutto il mondo.

Lo successe il Cardinale Montini che prese il nome di Paolo VI. Savio. Diplomatico e apostolico ha aumentato il numero dei Cardinali ha compiuto molti viaggi tra cui in America, Asia, Terra Santa, Colombia, Svizzera ed Africa. Il Papa Paolo VI ha rinnovato e modificato la liturgia della chiesa tra le cose più importanti, dire la messa di fronte ai fedeli e non volgere le spalle loro, e tolto l’uso del latino.

 

GRATI RICORDI

 

  Nel 1908 mi chiamarono al servizio militare, pur avendo la mia vocazione sacerdotale sentii il dovere di servire la Patria e mi proposi di affrontare ogni sacrificio. Ripetevo continuamente dentro di me una frase del poeta Orazio “Dulcis et decorum est pro patria mori”. Proposi obbedienza ai superiori, dal  mio distretto a Torino mi trasferirono a Primolano vicino l’Austria, era stato mio zio colonnello che aveva chiesto di trasferirmi lì per stare più vicino a un mio parente Michele D’Amico.

Mi misero nel plotone “Allievi Caporali”,nel mese di Giugno ci portarono a Venezia, ci fecero fare gli esami e prendemmo i gradi da caporale maggiore, mi trasferirono di nuovo a Venezia. Nel 1911 mi richiamarono per la guerra di Libia, mi trovavo a Roma e mi presentai al quartiere Macao del 3° reggimento di artiglieria, lì rimasi sei mesi fino all’Aprile 1912, mi congedai per la seconda volta ed entrai al collegio serafico di Orte. Sono stato ad Orte fino al mese di Agosto del 1913 e feci il ginnasio. Nel Maggio 1915 mi chiamarono per la terza volta al servizio a causa della prima guerra mondiale, mi mandarono a Piacenza per formare la batteria 105 e mi promossero sergente. L’ultimo anno di guerra presi i gradi di sergente maggiore, perché non volli fare il corso di ufficiale di complemento, così mi congedai il 21 Giugno 1919.

In seguito presi la croce di guerra e la medaglia d’argento della Madonna del Grappa della 4° armata firmata dal generale Giardino.

 

VITA DA RELIGIOSO

 

  Arrivai a Salta nella Repubblica Argentina nel 1925

Nel 1926 mi nominarono direttore della scuola di San Francesco.

1927 procuratore e vicario del convento di Salta.

1929 parroco e vicario foraneo della grande parrocchia di Oràn superiore e direttore del collegio di San Antonio di Oràn.

1943 mi nominarono commissario provinciale della commissaria di Salta.

1950 mi nominarono vice commissario di Terra Santa fino al 1961.

1955 il governo argentino mi concesse la pensione vitalizia come vicario foraneo della città di Oràn  per i miei trenta anni di servizio.

1962 andai in Terra Santa il giorno della Pasqua e mi consegnarono la Croce d’oro del Papa Leone XIII.

1968 in occasione dei miei ottanta anni mi hanno fatto  una grande festa e mi hanno regalato delle medaglie e pergamene. Sempre nello stesso anno il governo italiano ha decretato la pensione e la medaglia ai reduci della prima guerra mondiale ed io sono stato fiero di aver ricevuto un simile onore.

 

ALBERO GENEALOGICO DELLA FAMIGLIA VINCENZO D’AMICO

 

Vincenzo D’Amico nato ad Jelsi, provincia di Campobasso nel 1795 si sposò con Maria Mozzo nel 1817. Mio nonno, Vincenzo D’ Amico, ebbe sei figli: tre maschi e tre femmine. I maschi sono Salvatore, Antonio, Giuseppe, le femmine sono Cecilia, Rosa e Teresa. Cecilia si sposò con Valiante, Rosa con Filippo Testa e Teresa volle rimanere nubile per assistere suo fratello Antonio, sacerdote. Poi assistette tutti i figli di suo fratello Giuseppe che ne erano ben quattordici. Ella morì nel 1900 come una santa.

Salvatore si sposò con Felisa Valiante non ebbero figli  e morì anche lui nel 1900.

L’altro fratello Antonio nacque nel 1832, per la sua pietà ed intelligenza entrò nel seminario di Benevento e fu ordinato sacerdote nel 1859. Per più di sessanta anni esercitò l’apostolato con la parola e con l’esempio, con una condotta ammirabile. Rimase sempre nel paese ebbe le cariche di Vicario foraneo, e di canonico partecipante, e fino alla morte fu cappellano della chiesa di San Biagio. Morì nel Gennaio 1923.

Giuseppe mio padre, nacque nel 1842 e si dedicò ai lavori di campagna per tutta la vita. Nel 1865 si sposò con Maria Carmine Russocaronte di Tufara. Ebbero quattordici figli sette morirono, e sette sopravvissero, erano in tutto cinque femmine e nove maschi. Elenco i nomi: Vincenzo, Antonio, Salvatore e Giovanni, Maria, Teresa e Concetta. Quest’ultima entrò nel monastero e poi tornò in famiglia, ma rimase nubile.

Vincenzo studiò nei seminari di Benevento e di Capua, dove prese la licenza liceale. A diciannove anni lasciò la carriera ecclesiastica ed entrò all’università di Roma, dove si laureò medico chirurgo nel 1902 a soli venticinque anni. Fu sempre uno studioso brillante, vinse molti concorsi, come scrittore ed archeologo. Esercitò la professione  per sessantaquattro anni con grande dignità e competenza. Prese parte nella prima guerra mondiale, con il grado di capitano medico, in un ospedale da campo in Albania. Fu per molti anni consigliere provinciale del partito democratico cristiano. Non si sposò e alla sua morte lasciò tutto ai suoi nipoti.

Antonio nacque nel Gennaio 1885 per tutta la sua vita si dedicò al lavoro dei campi, fece il soldato da permanente, e si congedò con il grado di caporale maggiore. Si sposò con Giuseppina Capozio nel 1908 ebbero sei figli: tre maschi e tre femmine. Fu chiamato durante la prima guerra mondiale arrivò fino alle trincee del Carso. Fu nominato sergente  poi rimase fino al termine della guerra nelle seconde linee.

Tornò in famiglia nel 1918 e nel 1920 rimase vedovo. Educò tutti e sei figli e li sistemò tutti, grazie anche all’aiuto di suo fratello Vincenzo.

Giovanni l’ultimo dei sei fratelli, nacque nel 1891, e studiò come seminarista a Benevento a diciotto anni lasciò e intraprese la carriera militare con il grado di sottotenente. Prese parte alla prima guerra mondiale ferito sul Carso e guarito tornò in prima linea rimase prigioniero per due anni in Austria. Tornò nel 1918. Si sposò con Maria Brindisi nel 1921 e continuò nella carriera militare (n.d.r.). Comprò casa a Milano, nel 1941 andò al comando del reggimento di fanteria, partì per la seconda guerra mondiale, ma prima di imbarcarsi a Napoli cadde e riportò gravi ferite, dopo quindici giorni morì nell’ospedale militare, fu sepolto nel cimitero militare di Milano.

 

Fra Bernardo D’Amico

 

  Archivio Storico Dott. D’Amico Vincenzo