Comune di   JELSI    

 

 

Ist. D’Istruzione Sec. Superiore

F. D’Ovidio  - LARINO

 

 

 

 

JELSI  Sala dell’Annunziata 25 /01/2004 ore 10.30

IL GIORNO DELLA MEMORIA

“LA NOTTE DI AUSCWITZ”

Testimonianza di Oliver LUSTIG

Interventi:

Saluti del Sindaco di Jelsi  Mario Ferocino

Presentazione del Dirigente Scolastico Paolo Santella

Comunicazioni di Don Angelo Spina

Moderatore Antonio Maiorano

 

Oliver Lustig è uno degli ormai pochissimi superstiti dei campi di sterminio nazisti. E nato il 4 novembre 1926 nel villaggio di Soimeni, nei pressi di Kolozsvár, l'attuale Cluj in Romania, allora Ungheria. A Cluj frequenta il liceo fino al marzo del 1944, quando ne è espulso a seguito delle disposizioni del governo di Horthy, ossequiente alla Germania. Tornato a Soimeni, viene arrestato il 3 maggio 1944, trasportato con tutta la famiglia nel ghetto di Cluj, quindi deportato ad Auschwitz insieme ai genitori, ai nonni e ai fratelli, stipati su carri merci con altre migliaia di ebrei provenienti dalla Transilvania.
All'arrivo ad Auschwitz, dopo tre giorni e tre notti di viaggio, la madre e tre fratelli minori sono immediatamente inviati nelle camere a gas; il padre, che invece supera la prima selezione, è ucciso nel luglio successivo a Mauthausen. Trasferito da Auschwitz assieme al fratello Emilian con uno degli ultimi convogli prima della liquidazione del Lager, Oliver è successivamente assegnato a Kaufering e a Landsberg, campi satellite di Dachau. Il 27 aprile 1945 viene liberato dalle truppe americane. Oltre ai nonni e ai genitori ha perso, nei campi di sterminio, tre dei sei fratelli.
Ritornato a Cluj conclude il liceo e si iscrive alla facoltà di scienze economiche, ove consegue la laurea. Dal 1950 inizia la collaborazione, che durerà oltre venticinque anni, col giornale militare Apärarea patriei, di cui diviene vice-caporedattore nel 1955.
Giornalista e scrittore, autore di articoli e saggi di argomento militare, sociale, politico ed economico, ha dedicato la propria attività letteraria quasi interamente alla rievocazione degli orrori delle deportazioni naziste, con una decina di libri, a tutt'oggi inediti in Italia.
Oggi vive a Bucarest, è sposato con due figli, ed è membro del direttivo del Comitato internazionale per Dachau.

DIZIONARIO DEL LAGER.

OLIVER LUSTIG



Edizione Italiana: Nuova Italia, Firenze 1996, pagg. 240, ill.
Genere: Memorialistica
Note: traduzione dall'ungherese di Goti Bauer

E' un racconto-documento scritto da un sopravvissuto ad Auschwitz che ha raccolto le parole e le espressioni più usate nella vita concentrazionaria. Nel libro si alternano episodi appartenenti al vissuto personale dell'autore e episodi frutto di documentate ricerche.


Nota della traduttrice
di Goti Bauer
Il Dizionario del Lager mi è capitato in mano casualmente, e ha trovato in me una risonanza particolare, perché ho vissuto vicende analoghe: come Lustig, infatti, anch'io sono stata una Häftling, una deportata, e come lui sento fortissimo il dovere di testimoniare, ancora oggi, a più di cinquant'anni di distanza, quella vicenda terribile che i testi di storia chiamano Olocausto, e che noi preferiamo indicare col più dolente e appropriato termine ebraico di Shoah.
Nel libro si alternano episodi del vissuto personale dell'autore ad altri, frutto di documentate ricerche, che danno la misura dello svilupparsi della persecuzione: dalle leggi di Norimberga, subito dopo l'ascesa di Hitler al potere, nel 1933, via via attraverso l'attuazione del Progetto Eutanasia, fino alla Conferenza di Wannsee, in cui fu elaborata la cosiddetta Endlösung, la soluzione finale del problema ebraico: l'eliminazione fisica di tutti gli ebrei.
Ho ritenuto giusto propome la traduzione italiana, per la particolarità della sua impostazione, che lo rende diverso dalle innumerevoli opere che nel corso degli anni sono state pubblicate sul tema.
Ogni tentativo di approccio ad Auschwitz si scontra con la sua indicibilità, con la difficoltà - che a volte appare insuperabile - di rendere a parole una realtà che si pone ai limiti di ciò che è umanamente concepibile. Lustig ci ha provato ricorrendo al linguaggio del Lager, a parole la cui grottesca, talvolta beffarda deformazione suggerisce l'atroce, continua violenza perpetrata sull'uomo nei campi nazisti.
La struttura del libro, articolato in brevi capitoli che possono essere letti in ordine sparso, ad apertura di pagina, lo rende particolarmente adatto ai giovani, talvolta restii ad affrontare testi che richiedano una maggior continuità di impegno. La sua lettura, riferendosi ai titoli tedeschi come si fa con le voci di un dizionario è utile a chiunque, giovane o adulto che sia, voglia approfondire la conoscenza dello sterminio.
Il promuovere tale conoscenza è un compito che si impone in un momento in cui atroci violenze si consumano sotto gli occhi di tutti, nella colpevole indifferenza della pubblica opinione, mentre noi, sgomenti, ci domandiamo se la nostra terribile esperienza non abbia insegnato niente. E si impone anche perché, con sempre più inquietante insistenza, si fanno sentire le voci di chi, contro ogni evidenza, nega i fatti di cui siamo stati vittime e testimoni oculari, e trova nell'ignoranza il più fertile brodo di coltura.
Su Auschwitz ognuno dei superstiti potrebbe raccontare storie di infinita sofferenza, diverse nei dettagli, uguali nella sostanza: storie di sopraffazione e di violenza in cui la disperazione e la nostalgia, la fame ed il freddo, le punizioni e la fatica di sopravvivere convivono con l'eterna paura. Paura per quella minaccia, ripetuta in ogni momento della nostra giornata da schiavi: "durch den Kamin" - di qui uscirai solo attraverso il camino. Poi, il miracolo della liberazione, in cui c'è stata più tristezza che gioia, l'amarezza del ritorno, l'invivibilità della solitudine. E poi, ancora, l'estrema difficoltà di reinserirci in un mondo normale, di ricostruire una rete di affetti, senza il conforto della nostra famiglia, della quale ci siamo trovati ad essere, quasi sempre, gli unici sopravvissuti. E infine l'ossessione di quei ricordi, che hanno segnato le nostre vite.
Ma raccontare quelle storie è l'unico modo per ridare voce ai milioni di uomini, donne e bambini annientati dalla lucida, criminale determinazione nazista.
Questa mia fatica è quindi un omaggio alla memoria dei miei genitori, dei fratelli, dei parenti, degli amici e di tutti quelli che non sono tornati. Nella speranza che possa contribuire, oggi e in futuro, a far sì che quelle atrocità non abbiano mai più a ripetersi, la dedico ai miei nipoti: Stefano, Valerla, Federica e Michele, e a tutti i giovani, perché non dimentichino e trasmettano la memoria di tanto dolore.