In margine al progetto Migranti adottato dal Comune di Jelsi riportiamo un intervento di Maurizio Ambrosini

 C’erano una volta gli «sbarchi di clandestini». C’erano gli applausi ai respingimenti in mare verso la Libia e i suoi centri di detenzione. C’era l’irrisione verso il «buonismo», che univa le massime cariche governative ai bar di periferia.

Poi sono arrivate le nuove tragedie del mare (non erano le prime, e purtroppo neppure le ultime). Dal 1988 sono morte nel Mediterraneo almeno 19.507 persone (Fortress Europe, febbraio 2014), senza contare i naufragi fantasma: nel mare probabilmente più solcato e pattugliato del mondo. Soprattutto, è arrivato papa Francesco. A Lampedusa ha voluto compiere il suo primo viaggio apostolico, l’8 luglio 2013, al «santuario degli ultimi, dell’umanità sofferente» (Enzo Bianchi). Come ha detto con la semplicità e con la franchezza che ormai conosciamo, «ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore».

Risvegliare le nostre coscienze. Papa Francesco ha puntato il dito contro il disorientamento ansioso e difensivo, «per cui l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere»; contro l’incapacità di custodire il mondo che Dio ha creato per tutti, diventando così incapaci «di custodirci gli uni gli altri»; contro la perdita del senso della «responsabilità fraterna»; contro la «la cultura del benessere» «che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri».

Bergoglio ha evocato le figure del sacerdote e del levita della parabola del Buon Samaritano: al fratello mezzo morto sul ciglio della strada dedichiamo un rapido e superficiale commento, «poverino», ci tranquillizziamo e proseguiamo per la nostra strada: «In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affar nostro». E ancora, richiamando la figura manzoniana dell’Innominato, «La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto».

Con un saggio di quella catechesi dei sentimenti e delle emozioni che è un tratto caratteristico della sua predicazione, papa Francesco ha domandato per noi «la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo».

La penetrante denuncia del Papa ben si attaglia a un discorso pubblico e mediatico che ha presentato l’Italia come un Paese investito da uno «tsunami umano», invasa da ondate incontenibili di migranti, abbandonata da un’Europa dipinta come sorda e indifferente. Un osservatore che si prenda la briga di guardare i dati può rendersi conto che la realtà è un po’ diversa. Acquisito il fatto che la maggioranza degli sbarcati sono, e in maniera crescente, richiedenti asilo (oltre il 70% ha titoli per chiederlo), è importante considerare la cartografia dei rifugiati, nel mondo e in Europa: questi sono accolti per l’81% in Paesi del Sud del mondo. Dieci anni fa erano il 70%, quindi il problema si è aggravato nel corso degli anni. I 49 Paesi meno sviluppati del mondo ospitavano a fine 2012 circa 2,4 milioni di rifugiati.

L’Europa ne accoglie circa il 15%. A dispetto delle polemiche sulla scarsa solidarietà dei nostri vicini, continuano a essere i Paesi centrosettentrionali a farsi carico di un’accoglienza più generosa. La Germania è in testa alla classifica: nel 2012 è tornata vicino alla cifra delle 600mila persone accolte, il valore più alto del Nord del mondo. La Francia ne accoglie 218mila; il Regno Unito 150mila. L’Italia 65mila. In rapporto al numero degli abitanti, spicca la disponibilità della Svezia: 9 rifugiati su mille abitanti; la Germania raggiunge i 7; noi siamo a quota 1 su mille abitanti.

Il piagnisteo vittimista e riottoso che fa da sottofondo ai discorsi sull’argomento, dalle strade al Parlamento dovrebbe confrontarsi prima con il discorso del Papa, poi con questi semplici dati, infine con la nostra stessa Costituzione e con le convenzioni internazionali che abbiamo firmato: solenni impegni che ci obbligano all’accoglienza delle persone riconosciute meritevoli di protezione umanitaria. [...]

Maurizio Ambrosini