di Claudio Antonelli Casa
d'Italia 17-10-2013
I molisani
Voglio proporvi i capitoli di un mio
libro ideale sui molisani del Québec e del Canada.
Io non sono originario del Molise, ma sono un espatriato come voi, in questa
nuova terra. Inoltre, ho una lunga consuetudine di rapporti con i molisani ed in
particolare con gli jelsesi. Mi sento quindi molto vicino a voi.
Il successo
Il successo dei molisani nel Québec. Questo il titolo del primo capitolo. Tra le
cause principali di questo successo io porrei i valori della civiltà rurale
molisana – tra cui la laboriosità, il risparmio e il sacrificio – oltre
naturalmente ai forti legami familiari e a quelli dell’amicizia; valori che gli
immigrati hanno mantenuto nella terra che li ha accolti.
La coesione di gruppo ha favorito la nascita di iniziative economiche e di atti
di solidarietà. Il Molise – regione un po’ cenerentola in Italia perché piccola
e con una scarsa popolazione e, nel passato, regione “associata” all’Abruzzo – è
riuscito a porsi in primo piano nelle terre d'approdo dei suoi emigrati, e in
particolare qui a Montréal dove essi sono numerosi. Il merito di un tale
successo va anche all’intenso desiderio di rivalsa dei molisani. Questi,
all’estero, si sono adoperati per affermare agli occhi di tutti la loro forte
identità di figli del Molise. E – fenomeno straordinario – il successo dei figli
espatriati ha influenzato l’identità dei rimasti. Insomma, questo Molise ideale
creato all’estero, Molise della “diaspora” dal forte alone nostalgico, ha a sua
volta rafforzato e arricchito il Molise reale “storico-geografico”, dandogli
un’identità più ampia e più profonda.
Associazionismo
Un altro capitolo di questo mio libro ideale andrebbe consacrato
all’associazionismo.
Le associazioni godono di maggior credibilità rispetto agli individui isolati e
ai gruppi non organizzati. Riescono a compiere di più perché “l’unione fa la
forza”. Esse sono degli interlocutori ai quali i centri di potere in Québec, in
Canada e in Italia sono inclini a prestare attenzione.
Grazie alla vitalità di una miriade di associazioni incentrate, sì, sul paesello
nativo, ma che conducono attività che spesso si estendono alla società
d’accoglimento tutt’intera, i molisani, e come loro gli altri italiani
dell’espatrio, sono giunti a delle realizzazioni andate ben va al di là del
punto di partenza che era la minuscola radice locale d'origine.
Un esempio di attività che sono facilitate dall’associazionismo e che
trascendono il singolo paesello, ci è dato dalla "Settimana Molisana", di cui
sono in questo momento ospite, qui della Casa d'Italia, e la cui realizzazione è
dovuta, ogni anno, alla lodevole iniziativa delle associazioni molisane – sono
tante – riunite in Federazione.
Multiculturalismo
Il multiculturalismo. Ecco il titolo di un altro capitolo.
Grazie al multiculturalismo, gli immigrati possono continuare oggi, almeno in
parte, ad essere se stessi senza i pesanti complessi di ieri. Nello stesso
tempo, il multiculturalismo è una formula nuova come cemento nazionale, e non si
sa bene come evolverà o su cosa sfocerà. Bisogna anche considerare che posta
lontana dal suolo patrio, una cultura si restringe e si deforma. E cosi' nei
paesi d’immigrazione la lingua d’origine degli immigrati tende a decadere per
poi sparire. E come la lingua, molti altri tratti culturali seguono questo
declino.
L’identità
I molisani che vivono in Canada si sentono più molisani e più italiani di coloro
che sono rimasti al paesello. Noi italiani all’estero possediamo un senso
accresciuto d’identità rispetto agli italiani rimasti in patria, proprio per il
nostro confrontarci quotidiano con le altre identità etno-culturali di cui il
cosiddetto mosaico canadese è ricco. Noi sappiamo benissimo chi siamo. Sono
invece numerosi gli italiani della penisola che spesso respingono arricciando il
naso l’identità italiana, da loro giudicata limitativa, e si proclamano –
nientedimeno – “cittadini del mondo” e “figli dell’universo”. Costoro ignorano
di apparire agli occhi altrui molto ma molto italiani.
Vorrei accennare al benefico influsso che l’estero – perché non ammetterlo? – ha
avuto su noi espatriati. Mi riferisco in particolare al nostro senso critico nei
confronti di certe caratteristiche più plateali dell’identità italiana, come il
gusto eccessivo della verbosità e della polemica, che noi abbiamo abbandonato a
vantaggio di un senso più concreto delle cose. All’estero abbiamo dovuto
diminuire la nostra tendenza al protagonismo e all’esibizionismo. Siamo stati
costretti a farlo a causa, se non altro, della nostra nuova condizione di esseri
minoritari.
Il viaggio
Alla base della nostra identità più profonda di esseri trapiantati in un altro
continente vi è il viaggio transoceanico. Questo viaggio ha funto da spartiacque
tra il prima e il dopo: prima, in Italia, e dopo, in Canada. Il nostro non è
stato semplicemente un viaggio fisico ma un viaggio dell’anima, che simile ad un
iter iniziatico ci ha fatto idealmente morire e quindi rinascere quali adesso
noi siamo, attraverso l’apprendimento di una nuova lingua ed una
reinterpretazione del senso da dare alla vita.
Dopo questo fatidico viaggio i misteriosi legami che esistono l’uomo e tra la
terra sono emersi in noi con una grande forza. Di ciò voi che siete partiti vi
rendete conto quando confrontate il vostro amore per il Molise con quello di chi
è rimasto in quei luoghi per tutta la vita. “Voi siete i veri molisani”, vi
diranno.
Quanta verità in queste parole! Con la partenza, dal paese è emersa la Patria,
quella grande, l’Italia, e quella più piccola, ma così vicina al nostro cuore:
il paesello.
Per scoprire, capire, amare i misteriosi legami tra il nostro essere e la terra
dove siamo nati, occorreva la partenza. È un’amara verità: per capire
l’importanza di certe cose e di certi esseri, occorre prima perderli, per poi
cercarli per sempre senza più poterli trovare. Con la partenza e il distacco, la
terra di nascita ha acquistato la trascendenza: da luogo geografico il luogo
lasciato si è trasformato in un luogo dell’anima.
L’autocelebrazione
Motivati dalla rapida ascesa che abbiamo conosciuto in questa terra, noi
immigrati di origine italiana della prima e della seconda generazione tendiamo
all’autocompiacimento e all’autocelebrazione. Forse un po’ troppo. Ma è da
capire: in Québec, fino a non molti anni fa, noi, che allora eravamo “les
immigrants” per antonomasia, siamo stati oggetto di disprezzo e d’ostilità da
parte della maggioranza di questa provincia.
La nostra fragilità
Il multiculturalismo ha l’indubbio merito di rendere onore alle varie culture.
Non pone tuttavia fine a certe generalizzazioni e certi stereotipi di cui, in un
paese come il Canada, sono stati fatti bersaglio nel passato gli appartenenti
alle minoranze. La legge del più forte, ossia la legge della maggioranza,
continua nonostante tutto ad imperare. Basta vedere i clichés "pizza" e "mafia"
con cui la maggioranza continua a denigrarci.
La nostra immagine è inoltre fortemente condizionata dall’immagine che l’Italia
e i suoi abitanti proiettano nel paese in cui noi espatriati viviamo. Le
vittorie della Ferrari, lo chic dei prodotti di moda italiani, film e
documentari, il turismo straniero in Italia: ecco alcuni fattori positivi ai
quali dobbiamo se la nostra “identità” d’italiani all’estero è migliorata
rispetto ad un passato in cui l’Italia era considerata un paese povero e
arretrato. Di qui, purtroppo, l’influenza negativa che ha su noi espatriati lo
spettacolo non solo ridicolo ma addirittura indecente di una classe politica
italiana rissosa e inconcludente. Il caos immigratorio della penisola, le
ricorrenti emergenze rifiuti, la presenza delle varie mafie sono altrettanti
fattori che concorrono contro di noi “italiani all’estero”.
La continuità
L'ultimo capitolo di questo libro ideale tratterà il tema della continuità.
Ma qual è l’esito dell’emigrare in una terra straniera? Nell’essere umano agisce
la forte molla della continuità, ossia il desiderio di continuare. Desidero più
che legittimo. Continuare – per quanto sia possibile – in un certo stile di
vita, in certe abitudini, in tante cose. Continuare attraverso i figli…
Ma l’esito normale, a lunga scadenza, dell’espatrio con il radicamento
definitivo dei propri discendenti nella nuova terra – patria adottiva per il
trapiantato, ma patria naturale per chi vi nasce – è l’acquisizione di una nuova
identità nazionale, di nuove sensibilità, di un nuovo destino collettivo.
Nello stesso tempo è anche normale e sano per noi della prima generazione
avvertire nello spirito la forte presenza di un paese, l’Italia, che ci ha dato
i natali, e continuare a coltivare questa radice vitale che ci ha alimentato e
che continua ancora in parte a nutrirci.
E qui concludo ringraziandovi per l’attenzione prestatami.
Claudio Antonelli (Montréal)