Stefano Tettamanti, il pellegrino Micaelico che si è fermato un mese a Jelsi per collaborare alla festa del Grano in onore di S.Anna, scrive agli jelsesi:
Cagno, 15 agosto 2013
Carissimi Ielsesi,
quando l’Associazione Iubilantes di Como, della quale mi onoro di far parte, mi chiese se fossi disponibile a prendermi cura della Casa del Pellegrino di Ielsi, non ebbi esitazioni. Ecco l’occasione, pensai, per ricambiare in qualche modo l’ospitalità ricevuta nel corso dei cammini compiuti. Giunsi così fra voi col proposito di restituire ciò che mi era stato donato. Il primo luglio duemilatredici alle otto antimeridiane spensi il motore dell’automobile alle porte di Ielsi e m’incamminai lungo il corso: i dieci giorni previsti di permanenza divennero un mese e l’intento di sdebitarmi alla fine s’è mutato in un carico di debiti cordiali insolvibile. Già, perché, Ielsesi, mi avete catturato stringendomi in un abbraccio caloroso. Lo avete fatto con cuore sincero, spalancando il vostro paese in fermento per la festa di S. Anna e le vostre case ospitali, inebriandomi di sapori e profumi antichi, inusitati e sconosciuti. Mi avete aperto il libro della vostra storia, scritta in antico da un popolo indomito e dalla civiltà romana, le cui reliquie silenziose riecheggiano delle voci di un passato presente che mi ha circondato e rapito. Storia scritta dai vostri padri nelle terre con la fatica e la fame quotidiane e dai vostri emigrati nel mondo (tenetevi cari e coccolate gli studiosi di storia locale). Avete fatto in modo che entrassi nella festa di Sant’Anna. Il secondo giorno, mentre risalivo via Vittorio Emanuele, vidi, all’ombra di un albero, alcune donne lavorare. Salutai e sedetti ad osservare: mi ritrovai spighe tra le mani. Carissime zie, non me ne abbiano i compaesani se vi dedico qualche riga, bello fu lo star fra voi. Sono in me i vostri volti col suono delle voci, i vostri occhi vivaci con l’allegria, la genuina devozione a Sant’Anna, principio di ogni treccia nata dalle vostre mani irrequiete, eppoi i dolci ristori della fatica, del caffé freddo l’immancabile rito e dei “criaturi” la gioia. Una spiga dopo l’altra come parole, legata in “màttëjlië” a formare pensieri, sotto quell’albero con voi andavo intrecciando una parte di vita. . Grazie di cuore. Quindi venne il carro della Santa. Al cantiere mi furono dati una manciata di chicchi, un poco di colla, un bastoncino e due parole d’istruzione. Incurvato sopra ad una tavola, presi man mano confidenza con un lavoro certosino e silenzioso. Questi due aspetti mi colpirono fin dal principio. La realizzazione di un carro votivo di indubbia bellezza, come quello dedicato a Sant’Anna, richiede, s’intuisce, sinergia di competenza, perizia e costanza. L’applicazione di queste doti necessita della dovuta concentrazione: ricordo il gesto nervoso ed il viso teso di Andrea, che vedrò tornare a sorridere, finalmente, il pomeriggio della festa. La medesima concentrazione altresì comporta un certo silenzio, ma non dimentico un giorno, attorno al tavolo, quel cicaleccio confidenziale di giovani donne. Amici del cantiere, quando il carro della Santa fu terminato, incollati uno accanto all’altro non stavano credo solo i chicchi di grano. Altre sere poi i semi del frumento si trasformavano in fumanti piatti di pasta condivisi, bagnati dal vino, allietati da dolci melodie. Che dirvi del teatro di paglia? Erigere tutti insieme, sotto la guida di un archeologo, un anfiteatro sfida l’immaginazione dei mortali. A coronamento di tutto questo, e dell’altro che tacerò per amor di brevità, spuntò il giorno di Sant’Anna. Eccolo Ielsi, sotto la volta del cielo turchino, affollato, parato a festa, inghirlandato di spighe, impunturato di luci, pronto ad accogliere il corteo professionale: le traglie cariche di grano, antiche, solenni, tutti i carri e perfino un asino volante. Rivedo la Santa uscir di chiesa, infilare “u sporto” e posarsi sul carro sfavillante, dinanzi al cuore della Carità, ai piedi della croce, ancorata alla Speranza: quale emozione sapere che in quell’opera d’arte indorata dal sole c’era, offerto, un frammento delle nostre vite. Risento le note festose della banda, lo stridere delle traglie trainate sulla via, le sommosse preghiere, il devoto Inno a Sant’Anna. Riassaporo le gustose notti trascorse in compagnia. E al termine della festa dico a voi, come già a Feliciano, così semplicemente: <<Ma qui a Ielsi le cose normali non siete capaci di farle?>>. Per tutti i doni dei quali mi avete colmato ancora vi ringrazio. Carissimi Ielsesi, vi auguro ogni bene, e nel congedarmi da voi permettete che conservi, quale ricordo prezioso dei giorni vissuti insieme e di questa esperienza emotivamente profonda, una spiga di grano i cui chicchi sono ciascuno di voi.
Con riconoscenza, vostro
Stefano Tettamanti