Assisi: omelia dell'arcivescovo Bregantini
Carissimi fratelli e
sorelle, un affettuoso saluto a tutti voi, con un abbraccio ai Vescovi del
Molise, tutti qui raccolti in unità, rafforzando quello stile di comunione
che ci vede così spesso insieme, come dice il nostro settimanale
interdiocesano: Molisinsieme.
Ed un saluto rispettoso e caro a tutte le autorità religiose, civili e
militari, di ogni livello e grado, con un grazie particolare a quelle della
nostra terra del Molise, perché tanto hanno preso a cuore questo evento del
dono dell’olio ad Assisi.
1. – Assisi, città della pace. Oggi infatti qui ad Assisi, città della pace,
celebriamo la gioia dell'unità. Vedere tutto questo popolo molisano riunito
attorno al santo patrono d’Italia, il dolce san Francesco, è sentire vibrare
dentro queste mura benedette i versetti del salmo (132) dell’amore fraterno.
Siamo “famiglia riunita nel Signore”. Vorrei che diventasse l’inno di questa
giornata memorabile, per sentirci un cuor solo dentro la letizia che ci ha
condotto fin qui, dopo questi intensi mesi di preparazione e di raccolta
dell’olio per la lampada che qui arde per i secoli, silenziosa e
abbagliante, come un cuore baciato da Dio. Questo dunque il versetto che ci
guida: “Ecco, com'è bello e com'è dolce che i fratelli vivano insieme!”
Ripetiamolo insieme, facciamo risuonare queste parole nella nostra umile
vita. Perché solo nella bellezza dell’insieme è possibile ricavare il
segreto per il cammino della nostra amata terra d’Italia, ora così lacerata
e smarrita. Perché le comunità, i popoli che camminano nell’abbraccio della
pace, sono “come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la
barba di Aronne e sull'orlo della sua veste.”
2. – Ogni terra sia terra di pace e di lavoro. L'amore fraterno è la rugiada
dell'Ermon, che rinfresca e mitiga le inquietudini nostre che ci impediscono
talvolta di marciare uniti verso il Signore. E’ rugiada di bene comune, che
scende sui monti di Sion, nella nostra società assetata del sacramento della
concordia. Perché dove c’è questa solidarietà e questa unione di cuori e di
preghiere, là il Signore manda la benedizione che è la vita per sempre,
quella che scorre per l’eternità. Ecco dove cogliamo il significato della
lampada votiva, posta presso la tomba del Poverello, grazie al dono
dell'olio che avviene ogni anno, a turno per le regioni d’Italia. Tutti,
oggi, siamo chiamati a dire coralmente che “siamo venuti anche Noi del
Molise ad accrescere questa fiamma di amore per il mondo”, perché crediamo
che solo la carità universale è l’unico vincolo unitivo alla sorgente che è
Dio. Alimentare questa lampada è ricordare, infatti, che il Signore “ha
visitato la terra e l’ha inebriata” (Sal. 64,10), che ha cioè provveduto
come una Madre amorosa al bene dei suoi figli. Perché se abbiamo potuto
raccogliere quest’olio è per grazia di Dio! La Provvidenza ci nutre, ci
accompagna sempre in questo cammino temporale. Ma accanto alla Provvidenza
divina che ci soccorre, è necessario come Istituzioni impegnarsi a
provvedere il pane a chi non ce l’ha, a dare il lavoro ai tanti giovani e
padri e madri di famiglia che soffrono il dramma della disoccupazione. E’
questo l’appello che faccio oggi, sia come vescovo Metropolita del Molise
che come Presidente della commissione episcopale della CEI per i problemi
sociali e del lavoro, giustizia, pace e creato. Sentiamo così vivissimo
quanto è stato richiesto allo stesso Francesco, “va, ripara la mia casa
perché, come vedi, tutta va in rovina” (FF 1342). Questa casa è ogni nostra
realtà, dove non regna il bene comune, dove c’è discordia, egoismo,
distruzione. Se la terra germoglia è perché qualcuno la ama, e vuole che
cresca in gratuità e bellezza. Così la nostra Italia oggi è qui convocata
per riprendere coraggio ed avere dai santi concrete risposte, soprattutto
per i nostri giovani, perché non dicano come i discepoli “abbiamo faticato
tutta la notte invano, esistiamo per nulla”. Il processo di unità, di
alleanza, di dialogo, di sviluppo, di rinnovo per la nostra società avvenga
allora a partire dall’armonia sia tra le generazioni che tra le regioni
italiane, senza artificiose contrapposizioni o mura, per dare origine a
modelli sociali conformi alla dignità umana. Così l’esperienza dei più
adulti sarà fusa con la freschezza dei giovani.
3. – I tre simboli. Per questo, mi pare bello ora raccogliere tutto il
nostro messaggio attorno a tre simboli, che viviamo nell’eco di grazia del
salmo 132. Siamo venuti infatti in massa ad Assisi, (ben 5.000 pellegrini da
una regione piccola che conta solo 320.000 abitanti, segno di una forte
devozione ma anche di una grande capacità di animazione che si è realizzata
in tutte le nostre quattro diocesi!) per compiere il dono dell’OLIO, perché
davanti alla tomba di Frate Francesco possa eternamente brillare la FIAMMA
della vita, così che ogni nostra regione in Italia, soprattutto il Molise,
possa essere benedetta dalla RUGIADA dell’amore di Dio. Tre segni, dunque:
l’olio, la fiamma, la rugiada.
4. - L’Olio: simboleggia la Mitezza. L’olio è l’oro delle nostre terre
molisane, come di tante altre regioni del Sud, che sentiamo così vicine
oggi, anche per l’imminente visita del Papa Benedetto XVI in Calabria. E’
nostro compito, nel mentre offriamo questo dono alla tomba di Frate
Francesco, spalmare l’olio della consolazione sulle ferite dell’Umanità, per
ravvivare in ognuno di noi “il dono di Dio che è in noi” (2Tim 1,6).
Spandere l’olio e non mettervi il sale. Quell’olio che conforta, che
consola, che risana le ferite di sangue e le sa trasformare in feritoie di
grazia, come abbiamo detto nel meraviglioso Santuario di Castelpetroso, il
17 settembre, festa delle Stimmate, giorno della partenza dell’olio, oggi
qui offerto. Dice infatti lo stesso Francesco che “Ogni fratello deve aver
cura del proprio fratello”. Un compito da svolgere nell’amorevolezza e nello
spessore del quotidiano, dove non ci sono finzioni, ma nel sollevare le
sofferenze della condizione umana possiamo incontrare ed incarnare il Cristo
nella propria povertà e piccolezza, come fece frate Francesco quando
incontrò il lebbroso e, vinta l’istintiva paura, ritornò indietro per
abbracciarlo e baciarne le ferite. E in quel giorno, quello che gli era
sembrato amaro gli ridivenne dolce e possibile. E’ anche il messaggio
perenne che sgorga da un’attenta attualizzazione del fioretto sul lupo di
Gubbio, così perennemente vero. Se Francesco ha vinto il lupo non è perché è
stato coraggioso (anche lui aveva paura come noi tutti davanti ai
pericoli!), ma perché è stato fiducioso in un Dio che salva chi confida in
lui. E davanti al lupo, finalmente quieto ai suoi piedi, Francesco ha saputo
usare entrambe le mani dell’educare. Le due mani sono la FERMEZZA da una
parte e la MISERICORDIA dall’altra. Entrambe necessarie per formare il cuore
dei giovani che sono alla ricerca della propria strada nel mondo. E’ stato
infatti fermo nel rimproverare al lupo le sue evidenti malefatte. Lo ha reso
consapevole del male fatto. Ma poi, una volta che il lupo si era reso conto
del suo passato, Francesco ha usato con lui l’arma della misericordia e
della comprensione della sua realtà: Io so perché sei cattivo; sei cattivo
perché sei affamato! La cattiveria infatti non è nativa in nessuno. Ma si
diventa cattivi, perché non più amati. La cattiveria infatti altro non è che
una sofferenza inacidita, perché nessuno ci ha guardati, amati, sollevati,
accolti! Si pensi in quest’ottica alla realtà crescente dell’immigrazione.
Non la paura né i respingimenti faranno la strada del futuro! Ma imparare le
lingue, accogliere con fiducia, studiare le altre culture, incontrare il
Sultano: queste sono state le armi del santo di Assisi. E queste sono ancora
oggi le nostre invincibili armi per un dialogo tra generazioni, tra regioni
in Italia e tra popoli e religioni diverse. Così già sentiamo, oggi, la
gioia dei canti che saliranno al cielo il 27 di questo bel mese, sotto la
guida di papa Benedetto, eco meravigliosa di 25 anni di dialogo
interreligioso!
5. - La Fiamma: simboleggia il Cuore di tutti. Dentro questa fiamma ardono
tutti i “vorrei”, le nostre invocazioni, le nostre suppliche a Dio. Nostre
ed oggi, lo diciamo con piena consapevolezza, di tutta la Nazione. Ma questa
fiamma, che oggi noi alimentiamo, ci ricorda che c’è una differenza tra la
fiamma del bene e quella del male. Nel mondo ci sono entrambe, purtroppo, ma
tocca noi sempre scegliere se ardere per riscaldare o ardere per bruciare.
La fiamma dell’amore sale fino alla sommità dei cieli, quella dell’odio
precipita fin negli abissi dell’oscurità. Chiediamo al Signore di svegliare
in noi la fiamma della “seraficità” francescana, per essere come Francesco
che ardeva di amore serafico verso Dio (FF 1237); che bramava di
trasformarsi totalmente – scrive san Bonaventura – per eccesso e incendio di
amore (FF 1163); che portava Dio nel cuore e ai cuori, mentre lo lodava con
la bocca e lo glorificava con le azioni. Questo avvenga per noi tutti
davanti alla fiamma dell’amore. Per cui, anche noi preghiamo con san
Francesco, in questa bellissima invocazione: «Rapisca, ti prego, o Signore,
l’ardente e dolce forza del tuo amore, la mente mia da tutte le cose che
sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei
degnato morire per amore dell’amore mio» (FF 277). Facciamoci “fiamma di
luce” per illuminare, guidare e accompagnare la vita di chi sta nel buio,
nutriti dall’amore ardente per Dio, percepito come “sommo bene” della nostra
vita. (cfr. Lodi di Dio Altissimo, FF, 261).
6. - La Rugiada: simboleggia l’Amore fecondo di Dio che si fa Fraternità. La
rugiada della Fraternità è la grande parola chiave che ha plasmato l’Italia
dei Comuni, nel cuore del grande Medioevo dai mille meravigliosi comuni, che
hanno fatto grande l’Italia. Le tantissime municipalità che non vanno
eliminate, ma rafforzate ed alimentate di nuovo olio, nei piccoli vasi del
quotidiano di relazioni autentiche perché umili e vere, nel cuore della
nostra gente, specie dei piccoli e dei poveri. Armatura della società! E’ la
riscoperta della FRATERNITA’ fatta rugiada che ci permette anche oggi di
costruire il bene comune, dove tutti abbiamo la responsabilità di svolgere
il nostro compito, in un clima di unione, principio assoluto di pace per il
mondo. Per san Francesco, infatti, ogni uomo è un fratello. La Fraternità è
il carisma francescano, che rimane sempre attuale e ha in sé la permanente
profezia del Vangelo che si fa storia, che feconda le culture e suscita
l’incontro e determina la speranza. “Poiché la tua rugiada è come la rugiada
dell’aurora, e la terra ridarà la vita alle ombre” (Isaia 26:19)
7. – Permettete un appello finale, frutto di grande riflessione, eco di
tante fatiche nelle nostre chiese. Un appello che rivolgiamo soprattutto per
i GIOVANI. Infatti, nella preghiera incessante che sale dalla lampada in
onore del Poverello di Assisi, chiediamo soprattutto la grazia di ispirare
le menti e i cuori dei nostri politici, ai vari livelli, perché si
preoccupino di più del mondo giovanile, perché possano avere l’opportunità
di realizzarsi, di costruirsi un futuro dignitoso e onesto. Perché se tanti
di questi giovani sono senza lavoro, se cadono nella malavita e nella droga,
se sono vittime della depressione…..è perché a livello sociale c’è uno
strato massiccio di indifferenza e non curanza. Non possiamo non accorgerci
di come stia cadendo nel baratro la nostra gioventù italiana. Ogni giorno
ascoltiamo, come vescovi, situazioni di povertà. Ma attenti bene: questa
povertà dei nostri giovani non è quella scelta da Francesco. La loro è una
povertà imposta e non scelta! La povertà abbracciata da Francesco nasce
infatti da un atteggiamento interno di servizio ai fratelli, nella sequela
di Cristo. Mentre quella dei giovani si fa appello sofferto a tutto il mondo
politico per lottare contro gli sprechi, le spese inutili, il proprio
tornaconto. I nostri giovani invece sono perseguitati dalla paura del
domani, di essere e restare soli, di non farcela davanti alle sfide aperte
dal futuro sempre più complesso e vuoto di prospettive! Per questo, desidero
ricordare il versetto più volte meditato lungo il cammino delle nostre
diocesi: Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te (cfr. Tobia
4,16). Fratelli carissimi, concludo con il cuore colmo di speranza e
commosso per tanta presenza, che ci fa ben sperare per il futuro. Vi lascio
un compito: fluire come olio che lenisce; come pianto le cui lacrime come
fiamma purificano la durezza del cuore,per consegnarlo alla sua conversione;
come rugiada, che benedica la vita vera, per i tanti rivoli della storia,
talvolta intagliata dall’insicurezza, ma sempre densa di importanza e valore
per tutti.
Assisi: intervista all'arcivescovo Bregantini