La Festa di Sant’ Anna a Jelsi

Esempio prezioso di organizzazione collettiva per il bene comune

     Jelsi, una porzione di territorio materiale ed immaginario caratterizzato da una blanda densità abitativa, una dovizia degli spazi e da una prevalenza di terra sul cemento,  rappresenta, con la sua festa del grano in onore di Sant’ Anna, un esempio pregevole di Democrazia Partecipativa in un tempo in cui, nel più vasto contesto generale, questa forma alta e civilizzante di esercizio del potere conosce un inaccettabile svuotamento di sostanza per effetto della diffusione della sua forma “degradata”, la Democrazia Rappresentativa,  che costituisce inevitabilmente una soluzione di ripiego.

In effetti, Democrazia e rappresentanza non sono affatto sinonimi come la storia delle idee dimostra. Per i grandi teorici della rappresentatività Hobbes e Locke, il popolo delega contrattualmente la sua sovranità ai governanti. Per Hobbes questa delega è totale e non conduce affatto ad una democrazia: il suo risultato, al contrario, è investire un monarca di un potere assoluto (il “Leviathan”). Per Locke, sebbene la delega è subordinata alla condizione di adeguate garanzie concernenti i diritti fondamentali e le libertà individuali, la sovranità popolare ne risulta comunque sminuita dal momento che essa resta sospesa per tutto il tempo che i governanti rispettano i termini del contratto. I rappresentanti, legittimati all’esercizio del potere in base al principio positivistico-legalistico proprio di questa forma di democrazia, trovano in questo meccanismo la giustificazione che permette loro di agire non più secondo la volontà e l’interesse del popolo, ma secondo la volontà e nell’interesse proprio. Del resto, la delega del popolo libera quest’ ultimo da ogni impegno e responsabilità nella generazione di beni comuni tradendo quel senso civico necessario a cementare l’appartenenza ad una comunità le cui esistenze sono indissolubilmente legate le une alle altre.

Rousseau, teorico della democrazia, pone l’esigenza democratica come antagonista di qualsiasi regime rappresentativo. Il popolo, per Rousseau, non stipula nessun contratto con il sovrano, quest’ ultimo è semplicemente l’esecutore del popolo che governa attraverso di lui. Cioè, il popolo sovrano è un “essere collettivo” che non può essere rappresentato che da se stesso. Rinunciare alla sovranità eleggendo o nominando dei rappresentati equivale a rinunciare alla libertà, alla propria identità, equivale ad essere schiavi a non essere niente (“Du contrat social” III, 15).

            E’ evidente che non ci si potrà mai sottrarre interamente alla rappresentanza, tuttavia, il ruolo dei rappresentanti deve essere ridotto al minimo per scongiurare il doppio rischio che il mandato rappresentativo conduca verso il perseguimento di fini o progetti non orientati alla volontà generale e d’altro canto che il popolo si sottragga dal partecipare, impegnandosi attivamente, alla generazione comunitaria di beni collettivi. L’orientamento socio-politico che risponde a queste caratteristiche prende appunto il nome di “democrazia partecipativa”, detta anche organica o democrazia incarnata e non può non essere una democrazia di base. Questa democrazia di base non ha come scopo quello di generalizzare la discussione a tutti i livelli, ma piuttosto di determinare, con il consenso del maggior numero possibile di persone, nuove procedure di decisione conformi alle sue proprie esigenze così come a quelle che derivano dalle aspirazioni dei membri della collettività. Si tratta cioè di consentire il fiorire di spazi pubblici di iniziativa e di responsabilità collettivi.

            Nella festa del grano in onore di Sant’ Anna a Jelsi il “popolo sovrano” è tutta la comunità jelsese che ogni anno organizza e lavora alla preparazione della sfilata processionale delle traglie e dei carri del 26 di luglio in devoto ringraziamento per la protezione concessa alla comunità dal terribile e devastante terremoto che colpì il Molise nel 1805 e che fece a Jelsi solo poche vittime.

La comunità di Jelsi si avvale come “organo esecutivo della volontà popolare” di una “commissione” composta da più di 50 componenti, di durata triennale, che raccoglie e traduce in atto la volontà e le aspirazione dei suoi membri che si concretizza nella realizzazione di “traglie”, di “carri” in paglia e grano per la sfilata processionale e di “trecce” che addobbano il paese nell’annuale ricorrenza della festa. In doveroso spirito di servizio la commissione ha il faticosissimo compito di raccoglie la volontà dei diversi gruppi di persone, organizzati per contrade o per libera associazione, di impegnarsi nella realizzazione di traglie o carri appartenenti alle diverse categorie (come si sono venute costituendo nel tempo), per formare un complesso armonioso e non ridondante di offerta oblativa da parte della comunità orante. Il ruolo “rappresentativo” che svolge la commissione, come prevede il modello di Democrazia Partecipativa, è ridotto a quel minimo indispensabile ad assumere obbligazioni verso l’esterno per conto di tutta la collettività, di coordinamento di tutte le iniziative assunte dai vari gruppi e/o associazioni e in definitiva di trasformazione di tutto il lavoro e di tutte le opere realizzate in un unico “bene comune” composto di elementi materiali ed immateriali, vero patrimonio collettivo di tutta la comunità Jelsese nel mondo. La forza civilizzante della democrazia partecipativa consiste nella capacità di dare nella sostanza espressione a valori quali: la libertà, l’autonomia, l’identità, la partecipazione e l’appartenenza, valori autentici della vita umana senza i quali l’uomo non può essere felice. Sentirsi parte di una storia che inizia nel passato e continua nel futuro non può non ispirare comportamenti di responsabilità che impongono il pareggio di bilancio non per volontà di legge, ma per sacro rispetto di una tradizione che deve continuare passando di mano in mano e di generazione in generazione. La festa del grano a Jelsi, lo sforzo eroico di questa comunità in un contesto culturale generale caratterizzato dalla logica esclusiva del profitto e del tornaconto personale, ci riporta al centro del nostro essere e all’essenza autentica di ciò che siamo, “esseri relazionali” e del bisogno che abbiamo di contesti comunitari per dare dignità alla nostra vita, per costruire speranza di futuro sottraendoci così alla penosa solitudine che attanaglia e uccide l’uomo contemporaneo.

     La democrazia partecipativa, infatti, non ha soltanto una portata socio-politica, ha anche una portata socio-economica. Favorendo i rapporti di reciprocità, permettendo il ricrearsi di un legame sociale, può aiutare a ricostituire solidarietà organiche oggi indebolite, a ricucire un tessuto sociale disgregato dall’ascesa dell’individualismo e dalla sua irruzione nel sistema della concorrenza e dell’interesse. In qualità di produttrice di socialità elementare, la democrazia partecipativa procede allora di pari passo con la rinascita delle comunità attive, la ricostruzione delle solidarietà di vicinato, dei luoghi di lavoro, dei luoghi di vita.

La democrazia, in fin dei conti, non poggia tanto sulla forma di governo propriamente detta quanto sulla partecipazione del popolo alla vita comunitaria, di modo che il massimo di democrazia si confonda con il massimo di partecipazione. “Partecipare”, vuol dire prendere parte, vuol dire provare ad essere parte di un insieme o di un tutto ed assumere il ruolo attivo che deriva da questa appartenenza. I concetti di appartenenza (identità), di cittadinanza e di democrazia sono indissolubilmente legati insieme: La partecipazione sancisce la cittadinanza, che deriva dall’appartenenza; l’appartenenza giustifica la cittadinanza, che permette la partecipazione.

Diceva René Capitant “la partecipazione è l’atto individuale del cittadino che agisce come membro della collettività popolare” e in ciò consiste l’impegno straordinario profuso dalla comunità Jelsese che lavora tutta insieme e ciascuno per conto proprio nella realizzazione della festa del grano vissuta come atto devozionale a Sant’ Anna. È questo l’impegno nella preparazione di chilometri di trecce in grano “da sole a sole” con cui viene addobbato il paese è questo l’impegno nella realizzazione di traglie e carri in grano e paglia che formano la galleria processionale del 26 luglio da 204 anni.

            Conosciamo il motto repubblicano francese: “Liberté, égalité, fraternité”. Le democrazie liberali hanno consentito l’espressione del termine “libertà”, le antiche democrazie popolari e le più recenti socialdemocrazie con la messa a punto del welfare state si sono impossessate dell’  “uguaglianza”, la democrazia organica o partecipativa, basata sulla cittadinanza attiva e la sovranità del popolo, potrebbe essere il miglior modo di rispondere all’esigenza di “fraternità” (reciprocità) profondamente radicata nell’animo umano per riscoprire il senso autentico dell’esistenza umana e che la comunità Jelsese fa rivivere ogni anno con la sua festa del grano.

            La festa del grano che ogni anno si celebra a Jelsi in onore di Sant’Anna rappresenta un patrimonio di culture, abilità, tradizioni e valori ambientali racchiuso in uno spazio museale all’aperto che diviene oggi più che mai un bene prezioso da preservare e valorizzare, anche con sforzi straordinari. Essa è divenuta nel tempo un universo di relazioni a maglie più larghe, ma anche più solide, più capaci di resistenze e adattamenti perché come scriveva Giovan Battista Vico: “Verum ipsum factum” le cose si conoscono facendole e per questa via si consegnano all’eternità.

 

 

La commissione di Sant’Anna di Jelsi.