La potatura di Dio (di Giancarlo Bregantini)
Nell’omelia d’ingresso a Campobasso ho paragonato l’obbedienza che il Papa
Benedetto XVI mi ha chiesto alla potatura. Che fa soffrire, ma che
ringiovanisce. Ebbene, la primavera è tempo di potatura. E la Quaresima è
potatura, per prepararci alla fioritura della Pasqua.
Lo sanno benissimo i nostri contadini: un albero se non lo poti, muore. Se lo
poti, rinnova la sua forza per un raccolto più abbondante… È la logica della
vita, come ce l’ha descritta il Vangelo: «Chi ama la propria vita la perde e
chi perde la propria vita per il Vangelo, la ritrova».
Ma potare è un arte difficile e fonte di sofferenza, lenta da apprendere… È Dio
il potatore della nostra vita: «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché
porti maggior frutto… Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore» (Gv
15,1-2).
Lui sa quando e cosa potare. Dio conosce quali cose dobbiamo lasciare e quando
ne è il momento. Ed anche il perché. Perché la potatura non è mai fatta per
“tagliare soltanto”. È fatta soprattutto per ridare nuova vitalità. Certo, il
contadino quando taglia, non guarda il ramo che cade. Spesso, anzi, taglia
proprio il ramo più grosso, lasciando un esile tralcio che tende al cielo. Ma in
quel tralcio fragile, il contadino, con gli occhi della “fede”, già “intravede”
l’abbondanza dell’uva matura. Chi non è contadino, si stupisce, perché vede solo
il presente, non si rende conto, non sa spiegarsi certi tagli. Solo il contadino
capisce, non perché vede, ma perché “intravede” con gli occhi della fede.
La Quaresima a questo serve: capire lo stile di Dio, il suo intervento nella
nostra vita, il perché della sua potatura… Ma per poter capire questo, occorre
armarsi della “fede” del contadino: mai guardare indietro né giudicare solo con
il criterio del presente. È il raccolto, non la potatura, il criterio di verità:
«Beati quelli che piangono, perché saranno consolati» (Mt 5,4).
È la fede quindi che addolcisce la sofferenza della potatura con la gioia del
raccolto; è la fede che riempie di speranza il sacrificio; è la fede che
trasforma il dolore in fecondità; è la fede che ti lancia nella vita oltre il
presente, per non rimanere incastrato nella paura.
Paura e fede si combattono a vicenda. Dove c’è fede, non c’è paura e purtroppo,
se c’è paura, è segno che poca è la fede che ci sorregge. Certo anche noi
dobbiamo, in questa Quaresima, fare una grossa pulizia interiore, tagliando dal
nostro cuore certi rami secchi o spinosi o malati.
I rami secchi sono il fatalismo, la rassegnazione, l’indifferenza. Quando chiudi
la tendina del tuo cuore sui problemi degli altri, quando dici: “Tanto, a me che
interessa?…”, e lasci che il fratello se la sbrighi da solo, annaspando nel
fango della tristezza.
I nostri mali sono causati non tanto dalla cattiveria di pochi malvagi, ma dalla
indifferenza di tanti buoni! Altri rami sull’albero risultano spinosi o sterili.
Sono le nostre cattiverie, invidie, le gelosie, i giudizi cattivi, le rabbie
coltivate nel cuore. Guai a chi ci tocca. Scattiamo subito, con risposte che
feriscono più di un coltello. Ma sento anche che Dio è più grande di noi. Con
stupore, in questo periodo,… già intravedo sui rami una fioritura di forte
speranza, che supera i nostri calcoli e le nostre paure.
Con gli occhi del “contadino” “intravedo” un Dio che sta conducendo la nostra
Chiesa ad un cristianesimo di “qualità”, capace di valorizzare il “poco” che
abbiamo nelle nostre povere mani. “Intravedo” la fecondità che sgorgherà da
tante lacrime sparse… Nasceranno cristiani coraggiosi, maturi, famiglie più
unite e solidali e aperte. Non è possibile che tante lacrime siano versate
invano.
Possano invece fecondare questa nostra terra!