Mena Mascia cieca scrive su Jelsi:

Le traglie di Jelsi.

    E’ notte tarda, ormai, quando l’urgenza di appuntare le sensazioni provate nell’appena trascorsa sera d’estate è tale per cui non riesco ad andare a letto senza affidare quelle emozioni alla mia macchina obbediente che le conserverà fedele, perché non abbia a dimenticarne alcuna sfumatura.

   A beneficio degli amatori del genere, qualche notizia geografica relativa alla località che, grazie all’invito di Luigi a cui sarò sempre grata per l’occasione offertami,mi ha ospitata:

Jelsi è un paese del Molise centrale, sul lato sud della valle del Tappino che conta circa 2000 anime. Il suo centro storico è stato costruito su una cresta collinare, a quota 580 metri sul livello del mare che s’insinua in una profonda vallata, i confini morfologici sono costituiti per tre lati da profonde scarpate che degradano sul corso d’acqua del Carapelle, a sud insiste la nuova espansione urbana lungo il raccordo fratturale diventato statale 17. La morfologia del territorio è appunto collinare con un suggestivo alternarsi di rilievi e profonde vallate, infatti la massima quota è di 778 metri e la minima di 400. Il territorio ha una superficie di 28,5 chilometri quadrati, è interessato da coltivazioni di cereali nelle zone più pianeggianti, da porzioni coltivate ad ulivo e vigneti in collina ed il resto a bosco. Il tutto è caratterizzato dalla presenza di numerose e grandiose querce ultrasecolari. I paesaggi che si possono vedere dalla sommità dei colli, come anche dal centro abitato, spaziano dai monti del Matese, alle Mainarde, alla Maiella, al Monte Saraceno ed alla valle del Tappino, creando scorci di paesaggi naturalistici e rurali, di grande suggestione, dove l’emigrazione verso il Canada, gli U.S.A. l’Argentina l’Australia ed il Venezuela, nello scorso secolo è stata massiccia, ma nel quale si tramandano e conservano vive le tradizioni e la fede religiosa nei confronti di sant’Anna, la patrona e signora del territorio jelsese. Per onorarla degnamente, si portano in processione le traglie, una specie di slitte trainate da un giogo di buoi che, per l’occasione, s’inginocchiano davanti alla santa per adorarla. Addobbate a festa con figure prodotte dal paziente lavoro manuale del grano e della paglia offerte dagli abitanti a quello scopo, le traglie sono dunque dei carri resi mirabili dalla simbologia che ogni anno, il 26 luglio, da 204 volte, ormai, anziani, giovani, bambini, costruiscono, perché chi ha la fortuna di vederli, si soffermi ad ammirarne la maestria. Lasciati in piazza, una volta passato il giorno della Santa, i carri rimangono esposti. Nessuno, tranne noi che ci siamo dovuti accontentare della percezione che il nostro tatto ci comunicava, avrebbe osato toccarli, tanto è delicata la persistenza dei chicchi di grano sul piano di lavoro. Anche se a predominare è naturalmente il giallo tipico della paglia intrecciata, a dare l’illusione plastica delle figure, non mancano le sfumature degli altri colori, dati dalla tostatura del grano più o meno bruciato.

   Mettere delicatamente le mani su un simbolo o su una scritta, è come leggerle in braille. Le formazioni più fitte sono date da piccolissimi chicchi di pepe, mentre quelle più rade e pronunciate da chicchi di grano. L’arte mi ha sempre incantata, perché frutto dell’inventiva creativa dell’uomo, ma in questa forma mi lascia addirittura senza parole per l’ammirazione.

All’entrata del paese c’è un manifesto dal quale mi hanno letto e mi permetto di trascrivere:

   “Il Molise, luogo minerario di saperi antichi, con il suo ricco retaggio storico-culturale, custodisce a Jelsi la bicentenaria festa del grano in onore di Sant’Anna. La festa del grano supera i confini locali e si iscrive nelle grandi tradizioni della regione, contribuendo alla grandezza e dignità dell’intera nazione italiana. Jelsi ed il Molise con l’eco museo del grano di Sant’Anna, offrono ai visitatori insieme alla suggestiva Galleria Professionale di traglie e carri, generatrice di opere artistiche, Dimensioni Museali Dinamiche al chiuso, all’aperto, diffuse e virtuali, anche nei paesi d’approdo della nostra emigrazione, Canada, U.S.A., Argentina, Venezuela, Australia.

In questa dimensione di osmosi continua di tradizione e innovazione, l’intera comunità jelsese ha inseminato di opere in grano diverse città d’Italia e non solo. Il 18 ottobre del 2000 la Porta Santa in grano, opera dei maestri traglieri, va in Vaticano, benedetta dalle esclamazioni di gioia “… sembra oro …” del Santo Padre Giovanni Paolo II”.

 Per accontentare i più curiosi, insoddisfatti del mio esporre, e dirla con Antonio Maiorano, un prosatore e poeta jelsese:

   “La festa del grano nasce come ringraziamento a sant’Anna per i lievi danni subiti in seguito al rovinoso terremoto del 26 luglio del 1805. La scelta del grano come offerta ed elemento da plasmare per le decorazioni è profondamente simbolica: è il ringraziamento offerto alla “Grande Madre”, Sant’Anna, del frutto della nostra terra. Ogni jelsese è particolarmente fiero della sua “festa”. Fierezza e consapevolezza di essere nello stesso tempo autori, attori e registi di una importante rappresentazione di vita e di cultura. Ogni gruppo, ogni famiglia, ed ogni contrada che vuole partecipare alla processione con il suo carico di grano, s’impegna alla sua realizzazione curandone l’addobbo. Il grano diventa uno strumento espressivo e di garanzia per lo svolgimento della festa, nonché l’elemento principale per la realizzazione delle traglie trainate dai buoi e dei carri a trazione meccanica. I vari tipi di carri che prendono parte alla processione ogni anno il 26 luglio, possono essere schematizzati come segue:

A) il carro della santa. Originariamente la statua di Sant’Anna veniva trasportata a spalle, ma dal 1974 viene inserita su un carro pregno di elementi simbolici;

B) Le traglie. Sono tregge tirate da buoi. La traglia si compone di due “soglie” (pattini di legno di quercia) unite da due assi su cui poggiano ortogonalmente tre tavole; fermata da sei legni che formano il piano di carico. Sia dall’asse anteriore che da quello posteriore portano due “catinelle” verso l’alto che si uniscono ad un palo centrale. Il legno usato per la realizzazione della traglia è naturalmente quello di quercia. La sua decorazione viene effettuata con:

a. trecce di grano (ogni spiga viene pulita dalle foglie superflue, messa in ammollo per 24 ore e lavorata a treccia);

b. pellone (struttura sferica ricoperta di grano, portata da un bastone);

c. pelomme (piccoli bastoncini lignei incrociati e fissati con fili di paglia lavorati in forma geometrica).

C) Le trasportatrici. Giovani in costumi tradizionali che trasportavano covoni di grano;

D) carri in miniatura. E’ il contributo dei più piccoli; il carro viene fatto tirare da cani o da ovini;

E) gli asini. Un tempo molto in uso trasportano il carico direttamente sulla groppa, abbellito con trecce di grano;

F) i carri agricoli a trazione meccanica. L’ingresso dei carri trainati da trattori è recente e segna una innovazione del trasporto dei carichi;

G) i carri moderni. Scenografie decorate con grano artisticamente lavorato, sono le principali innovazioni apportate da questo tipo di carico”.

   Quest’anno era perfettamente riprodotta una fiat 500.

   “La festa curata e custodita, fin dalle origini, dal comitato Sant’Anna, con il coinvolgimento febbrile e corale dell’intera comunità, è fortemente identitaria per Jelsi e per gli jelsesi nel mondo. La festa delle feste, saldamente radicata nell’animo di ognuno di noi, genera coesione e forti legami con l’antico, ricco e prezioso patrimonio culturale della nostra gente e della civiltà contadina che rappresenta. Nella sua dimensione oblativa, la festa vuole essere un dono per noi e per tutti gli uomini di buona volontà che amano la grandezza e la dignità non misurabile dei “piccoli”.

   Stasera, la piazza del paese brulicava di persone che si recavano nell’anfiteatro naturale, dove a breve si sarebbe rappresentata “La cavalleria rusticana” di Ma scagni, con le scene rigorosamente riprodotte dai maestri traglieri e quindi interamente lavorate in grano, un colpo d’occhio che io non riesco nemmeno ad immaginare.

   L’addio di Turiddu alla madre che le raccomanda la sua vedova, gemera in me una emozione tale che gli occhi mi si riempiono di lagrime. E’ buio, e posso tranquillamente dar stura al pianto che mi sgorga spontaneo dal cuore. E’ liberatorio quel pianto silenzioso che nasconde l’angoscia della mancata espressione sincera, che sopisce quel tanto del non detto che gonfia il cuore di amarezza.

   Ma gli amici pretendono la mia attenzione, e questa bella serata rimarrà molto ricca di belle sensazioni nel mio ricordo.