Domenica 29 giugno 2008 di prima mattina alle cinque e trenta si è svolta la Sacra mietitura del grano di sant’anna per la festa in suo onore a jelsi

i deputati di sant’anna

 

  

Parrocchia “S. Andrea Ap.”, JELSI - CB

Lettera pastorale alla comunità di Jelsi, ai figli emigrati

e a quanti come noi amano e venerano S. Anna,

“Gran Madre delle messi” e nostra Protettrice.

 

 “Innalziamo lodi a Gioacchino ed Anna nella loro discendenza; il Signore ha dato loro la benedizione di tutti i popoli” (Antifona d’inizio S. Messa)

Casella di testo: S. Anna prega per noi.
 

 IL VALORE DEL PANE:

Dalla ricchezza del grano al profumo del buon pane

Carissimi, con questa prima lettera pastorale (in forma di estratto) mi piace inaugurare da noi la tradizione, cara a molte comunità cristiane, della consegna di un messaggio del parroco ai fedeli in particolari circostanze e a quanti vengono a contatto con la storia, la cultura e la ricca tradizione jelsese che ha il suo culmine nella festa di S. Anna, invocata come “Gran Madre delle messi” e come Protettrice dell’intera comunità di Jelsi. Vedo l’utilità e la ricchezza formativa di tale strumento anche per i figli emigrati in paesi lontani e per quanti ogni anno tramite l’impegno congiunto del Comune e della nostra Parrocchia, grazie ad ampi gemellaggi e rinnovati pellegrinaggi, entrano a contatto con la storia locale e restano edificati dalle tradizioni di Jelsi, “il paese della festa del grano”. Come allora non riflettere sull’importanza del grano e sul valore del pane oggi? Come non sottrarsi, semmai da una pura visione materialistico-commerciale della realtà e non valorizzare oggi questi doni, “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”? Eccomi allora ad offrire, sotto forma di un duplice decalogo, a me innanzitutto e a voi tutti qualche considerazione, qualche spunto di riflessione per non dare mai niente per scontato ed aprirci invece all’invocazione, alla preghiera, all’importanza dell’altro, al valore dell’oltre e al senso del grazie.

 Il GRANO segno di splendore che ravviva il sorriso e l’allegria, soprattutto quando tra i campi, nei mesi di giugno e di luglio, si è immersi nell’oro delle spighe mature.

Il grano frutto del sudore nel lavoro e nella particolare cura che impegna da prima della semina al raccolto, che ogni anno si spera abbondante.

Il grano segno della gioia quando insieme ogni anno si parte per la mietitura e si ringrazia il Signore con l’intercessione potente di S. Anna, “Gran Madre delle messi”.

Il grano simbolo dell’attesa paziente, biblica, per ottenere dal filo d’erba la spiga piena e matura.

Il grano segno di abbondanza, di prosperità, del dono della vita che si rinnova, si rafforza e continua nelle sue diverse forme e tappe.

Il grano richiamo alle antiche radici, alla ricchezza del passato, per vivere l’oggi del presente, nella scoperta continua della propria identità di popolo, protesi verso un futuro di speranza.

Il grano espressione di appartenenza al territorio, di attaccamento alla propria terra, di inserimento costruttivo in un territorio e di servizio aperto ai fratelli.

Il grano segno di amore alla propria storia, di accettazione di essa e di valorizzazione della cultura locale e di quella dei paesi limitrofi.     

Il grano amalgama e forza di una comunità che si mantiene unita nel riscoprire il significato delle antiche tradizioni, delle feste dei padri e nel viverle con il senso e le risposte dell’oggi.

Il grano segno di offerta e di ringraziamento al Signore della gioia, Amante della Vita e della Vita piena, Padre Creatore, Datore di ogni dono e di ogni benedizione.

 Signore Gesù apri il mio cuore alla Tua Parola. Fa che sia anch’io un chicco di grano maturo, pronto per la macina, pronto per il dono di sé, con Te e come Te a tutti. Tacciano tutte le voci intorno e dentro di me: nel silenzio Tu vieni! Libera la mia mente dalla distrazione, dalla confusione, dalla presunzione, dalla depressione e dalla negatività. Rendimi segno di amore, di gioia, di servizio, di offerta e di ringraziamento come il grano che Tu raccogli e purifichi. Rinnova in me la passione per la vita e fa che io ami di più.

 Il PANE segno di unione e di amore di una comunità, di unità tra volti e pensieri diversi che raccordati diventano dono reciproco e ricchezza per tutti. Come tanti chicchi sparsi sui colli, raccolti, macinati e impastati insieme formano un solo pane anche noi dobbiamo tendere ad essere un tutt’uno, una sola e grande famiglia forte e unita, per allontanare divisioni e ogni particolarismo.

Il pane simbolo della casa: cantiere di santità ordinaria, luogo in cui si costruisce la coppia, si lanciano i figli alla vita; luogo in cui nascono e si risolvono i conflitti, accettandosi come si è e accompagnandosi per passi ulteriori; luogo dell’amore come servizio e ricerca del bene altrui.

Il pane forza della famiglia chiamata ad essere luogo di intimità, di crescita e di relazione; luogo di amore in cui abbiamo sperimentato e sperimentiamo il profumo del pane che unisce e affratella.

Il pane segno della festa, del costruire insieme, della gioia che si moltiplica nel dono al prossimo.

Il pane segno di fragranza nella casa, del buon profumo sulla mensa che ti attira e vuole arrivare a tutti, perché sa della ricchezza e della preziosità del proprio dono.

Il pane espressione dell’incontro, del dialogo, soprattutto intorno alla tavola, che ravviva nei volti la gioia di vivere, la forza di sperare, la capacità di credere e di progettare ancora.

Il pane segno di comunione e di benedizione come nella prima comunità di Gerusalemme unita nella frazione del pane (cf At 2, 46) poiché prima forte nell’unione degli intenti, nella gioia e nella semplicità di cuore. Anche per noi chiediamo la stessa capacità per saper porre atteggiamenti nobili e comportamenti giusti, significativi e di esempio per le nuove generazioni.

Il pane nutrimento nel cammino, alimento di forza nel conseguire la meta desiderata e sostegno affinché possiamo tessere relazioni nuove e rendere ogni giorno occasione di lavoro e di costruzione. Nutriamoci del pane vero per diffondere il vangelo della fratellanza, dell’impegno quotidiano, del ministero della gioia in un tempo storico sempre più assetato di senso e di valori.

Il pane segno della Vita e della grazia, della speranza e della carità che è Cristo presente nell’Eucaristia, dono d’amore per tutti. “Io sono il Pane della Vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Gv 6, 35). Allora lasciamoci afferrare da Cristo affinché da Lui resi pani nuovi, diventiamo sue icone per testimoniarLo ed essere proposta, via da seguire.

Il pane simbolo del dono. Come il pane per essere gustato si lascia spezzare anche noi dobbiamo spezzarci, essere dono e farci dono per i fratelli. Solo così diventeremo e saremo sempre più pane buono e fragrante per gli altri; segni credibili della grazia per portare a tutti, iniziando dai nostri cari, “il buon profumo di Cristo!” (2 Cor 2,15).

 Concedici o Signore di celebrare nella vita e nella storia di ogni giorno l’amore a Te, fa che uniti nel Tuo Spirito sappiamo vivere in comunione e crescere in comunione. Donaci fame di Te, rendici pane buono e fragrante per metterci al servizio nella comunità dei fratelli. In Te e per Te o Gesù, che sei il Cristo, andremo al Padre della Vita per il banchetto santo del Regno.

 Con l’augurio di un buon cammino per celebrare la speranza!

IL PARROCO:

Don Peppino Cardegna e i suoi collaboratori

 

Con la benedizione e gli auguri del nostro Padre Arcivescovo Giancarlo Bregantini

 La mietitura e la trebbiatura tecniche e strumenti del passato

  La tradizione cerealicola, legata principalmente alla coltura del grano, ha in Molise origini molto antiche. Nel Neolitico, circa 6.500 anni fa, gli abitanti dei primi insediamenti stanziali diedero l’avvio ad una economia agricola di tipo produttivo che, in molti casi, è rimasta immutata – per sistemi, tecnologie, strumenti –fino agli anni cinquanta del ventesimo secolo. La straordinaria continuità di oggetti d’uso, frutto di saperi tecnici e conoscenze plurimillenarie basate sull’osservazione dell’ambiente, dei fenomeni atmosferici, dei ritmi delle stagioni, è documentata da una molteplicità di utensili tramandatisi nel tempo. Il frumento, elemento principale dell’alimentazione mediterranea, ha sempre rappresentato per il contadino un bene prezioso in quanto alimento base della sua dieta, ma anche merce di scambio ed oggetto di vendita. La coltivazione del grano, associato spesso alla coltura di vite, ulivo ed alberi da frutto, ha interessato ampie porzioni del territorio abruzzese, soprattutto nelle zone collinari, nelle fasce costiere e sublitoranee, nelle fertili conche interne.

Il fulcro del calendario agricolo e di tutto il ciclo produttivo legato alla coltivazione del grano era costituito da mietitura e trebbiatura, fasi cruciali di lavorazione che si svolgevano nei mesi di giugno e luglio. L’attrezzo principale utilizzato nella mietitura a mano era la falce messoria, dalla lama sottile e non dentellata, chiamata in dialetto favce. I primi esempi di strumenti adatti alla mietitura risalgono alla preistoria: falcetti dall’immanicatura in legno o in osso dall’andamento rettilineo, o più spesso curvilineo, erano dotati di sottili lame in selce. Resti di tali falcetti sono stati rinvenuti presso numerosi insediamenti del neolitico abruzzese -molisano

I frammenti litici dei falcetti preistorici, dai margini ritoccati e lucenti per il ripetuto contatto con il fusto siliceo del grano, presentano spesso tracce del bitume impiegato per il fissaggio. Intorno al IV secolo a. C. subentrano lame ricurve in ferro nei falcetti bilanciati, più veloci ed efficaci nel taglio degli steli; questi venivano recisi ad altezze diverse, a seconda della destinazione delle stoppie, come Plinio, Varrone e Columella attestano nelle fonti antiche, e come ancora qualche decennio fa la pratica agricola confermava. Gli steli tagliati a 30-40 cm da terra e lasciati sul campo venivano bruciati; il taglio poteva anche essere lungo (10-20 cm da terra), se gli steli erano destinati a foraggio per il bestiame o alla copertura di tetti. Più fasci di steli legati con fili di paglia formavano i covoni (manocchie), lasciati sul campo in attesa del trasferimento sull’aia per la trebbiatura. Complementare alla falce, nel corredo del mietitore, erano, fino a poco tempo fa, u scarfagnole in cuoio per il pollice, le cannelle, ditali di canna a protezione della mano sinistra impiegata nel reggere i iermete, ossia i fasci di spighe falciati con la mano destra. La lama in ferro della falce veniva affilata da una pietra arenaria, la cote che il contadino portava con sé immersa nell’acqua all’interno di un corno agganciato alla cintura. In alternativa la falce veniva affilata con un martello sopra un’incudine conficcata nella terra. Se su piccoli appezzamenti di terreno la manodopera era costituita dai componenti della famiglia, coadiuvati da amici e parenti, su zone più estese operavano vere e proprie “bande di mietitori” organizzate in squadre, seguite da personale incaricato di legare i fasci caduti a terra.

Il trasferimento dei covoni sull’aia veniva effettuato con le Traglie.

 Al di là della loro oggettiva valenza economica, la mietitura e la trebbiatura, erano anche riti sacri i covoni erano raccolti (acchie) sull’arie (ara) nella condivisione collettiva del lavoro, costituivano anche importanti momenti di socializzazione durante i quali, con canti conviviali e libagioni, venivano rinsaldati sodalizi e vincoli di parentela , in una dimostrazione di solidarietà e reciproco aiuto che in passato contraddistinguevano la vita sociale delle famiglie contadine.