Per don Aurelio Pulla, parroco del quartiere Capodimonte.

di Rosa Massa Pubblicato sul quotidiano Il SANNIO il 29-04-2007.

Domani ricorre il primo anniversario della morte di don Aurelio Pulla, parroco del quartiere di Capodimonte in Benevento. La cerimonia inizierà con la S.Messa, celebrata dall’Arcivescovo, alle ore 19 nella Chiesa di S. Giuseppe Moscati e terminerà con la posa di un cippo-ricordo sul piazzale antistante. In questo modo l’Amministrazione comunale vuole ricordare il lavoro instancabile svolto da don Aurelio per lo sviluppo del quartiere. Il progetto è quello di intitolargli il piazzale non appena saranno trascorsi dieci anni dalla morte, come previsto dalle norme vigenti. Don Aurelio era nato il 29 ottobre 1928 a Limosano (Campobasso) allora appartenente all’Arcidiocesi di Benevento. Frequentò il Seminario e Mons. Francesco Zerrillo, che lo ebbe come “prefetto”, nel delinearne il profilo durante la cerimonia del trigesimo, lo ricordava molto intelligente e preparato negli studi tanto che i seminaristi, quando si trovavano in difficoltà per il greco o la filosofia, ricorrevano volentieri a lui. Il 20 luglio 1954 fu ordinato sacerdote. Costretto a due anni di inattività a causa di una lunga malattia fu poi nominato parroco a Jelsi (Campobasso). Qui impegnò tutte le sue energie a seguire i giovani ed i ragazzi. Nel 1963 l’incontro col Movimento dei Focolari segnò profondamente la sua vita. La riscoperta di Dio Amore, del testamento esplicito di Gesù “che tutti siano uno… affinché il mondo creda” e della sua promessa: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, furono per don Aurelio la risposta al suo desiderio di santità. Sperimentò così l’attualità di vivere il Vangelo, che rinnovava la sua vita personale e quella della comunità. A Jelsi lo seguì presto un gruppo di giovani che cercavano di vivere concretamente il Vangelo e all’omelia della Messa domenicale raccontavano le esperienze vissute alla luce della Parola. Vicino Benevento viveva un altro sacerdote, don Rosario Amorosa, che aveva fatto la stessa riscoperta del Vangelo; tra loro maturò il desiderio di una concreta comunione di vita sacerdotale. Per questo motivo don Aurelio chiese all’Arcivescovo di essere trasferito a Benevento. Dapprima fu parroco nella Basilica di San Bartolomeo, poi nel 1980 iniziò ad occuparsi anche del nuovo quartiere di Capodimonte, che si stava popolando. Qui come cappella parrocchiale, fino al dicembre 2005, utilizzò alcune aule scolastiche. Nel maggio 1987 fu deciso di erigere la nuova parrocchia, ancora tutta da costruire, dedicata a San Giuseppe Moscati, di cui don Aurelio fu nominato parroco. Prima di costruire la chiesa di mattoni, per la quale tanto si impegnò, si preoccupò di edificare la chiesa di “pietre vive”, di una comunità cioè che fondasse la propria vita sull’amore scambievole. Il 10 dicembre 2005 ebbe la gioia di vedere realizzato il sogno: Mons. Sprovieri consacrò la nuova chiesa parrocchiale. Don Aurelio comunicava la sua esperienza a quanti incontrava, per fare in modo che l’unità chiesta da Gesù fosse reale, crescesse e diventasse testimonianza di vita. Straordinario è stato il rapporto che stabilì con molti sacerdoti sia della Campania che di regioni limitrofe, favorendo in tal modo la nascita di sette comunità sacerdotali stabili e di vari gruppi di sacerdoti, i quali si incontrano periodicamente per realizzare, come chiede lo spirito del Movimento dei Focolari, un’ esperienza di vita comune. Ci piace chiudere questo breve profilo con alcune espressioni usate da Mons. Sprovieri nell’omelia della Messa esequiale: “Rivedendo il mio episcopato alla luce del suo amore per i sacerdoti, dichiaro che se potessi ricominciare farei come don Aurelio…”. “Credo che questa sia la lezione che egli ci lascia: ha lavorato per le famiglie, per i giovani e con i giovani, ma la lezione più toccante è proprio questa: i preti devono volersi bene…”. “Come sarebbe bello se portassimo con noi questa lezione di vita… solo allora diventerebbe possibile praticare la pagina difficile della correzione fraterna. Don Aurelio, se aveva qualcosa da osservare, non se la teneva in corpo, anche con il Vescovo. Più volte egli ha esercitato questo delicato dovere anche con me. Ed il segreto è questo: bisogna amare sul serio, per avere il diritto di correggere”.