Una
delegazione di Cammina Molise sarà a Jelsi nel ponte dell’immacolata per
promuovere l’immagine del paese.
Introduzione
Al
viandante che da Campobasso procedeva verso Foggia, agli inizi del Novecento,
Jelsi appariva adagiata sulla dorsale di una collina, lussureggiante di grandi
querce, fiancheggiante il corso del torrente Carapelle. Le abitazioni del paese
tendevano a concentrarsi soprattutto su un largo sperone roccioso, che,
ergendosi a picco circa
da
Jelsi.Storia e tradizione di una comunità
Appunti di viaggio
Il borgo antico di Jelsi (1) ricalca, in molti punti, l’impianto del nucleo medioevale; infatti, per accedervi, da piazza Umberto I, si risale una breve rampa (anticamente a larghi gradoni), si attraversa il portale del palazzo ducale, addossato all’antico circuito delle mura, e si giunge nella piazzetta principale (Largo chiesa Madre), ubicata lí dove sorgeva il “piano della corte”. Su questa si affaccia la chiesa madre (→) e, dal trecento, la chiesetta dedicata all’Annunziata (→).
Chiesa
madre
La chiesa fu completamente rasa al suolo dal terremoto che
colpì Jelsi, e i paesi limitrofi, la notte del 26 luglio del 1805. Essa consta
di una pianta a tre navate, determinate da imponenti archi a tutto sesto. Il
presbiterio è sopraelevato rispetto alle restanti parti della chiesa ed è
sormontato dalla cupola. Sulla destra dell’ingresso vi è un’acquasantiera
composita di pietra: la vasca, internamente decorata da altorilievi, reca,
scolpita, la data 1660; il piedistallo, a colonna, quella del 1563.
Cappella
dell’Annunziata
Sul concio di chiave del piccolo portale d’ingresso è
scolpita la data di costruzione della chiesetta (1363). Dell’ambiente interno, a
parte le strutture perimetrali, non resta nulla dell’originale; la cripta
invece, ha conservato cospicue parti della sua decorazione. Per accedervi si
discende una scala di pietra. Il vano ha pianta quasi quadrata con copertura a
botte a tutto sesto intersecata nel mezzo da un arco di pietra.
L’interno è completamente intonacato e affrescato con scene che narrano la vita di Cristo, dall’episodio che dà il nome alla chiesetta fino al giorno della sua resurrezione. I dipinti furono realizzati tra il 1363 e la fine del ‘300. Il programma iconografico e la presenza di San Francesco tra i santi della parete di fondo, lasciano supporre che la costruzione della chiesa sia da porre all’interno di quella politica di apertura e di sostegno degli angioini nei confronti dell’ordine francescano.
Nel 1517 sulle strutture del castello fu eretto il palazzo ducale da Giovanni Pinabello. Esso fu di proprietà dei Carafa fino al dopoguerra, quando fu acquistato da V. D’Amico, medico e appassionato studioso della storia dell’agro di Jelsi e di Gildone, grazie al cui lavoro è stato possibile recuperare testimonianze storiche e sociologiche di queste due aree.
Usciti da una delle porte dell’impianto medioevale del centro storico di Jelsi, e discendendo una mulattiera, oggi asfaltata, si raggiunge la sponda destra del torrente Carapelle; qui sorge un ponte (2) a schiena d’asino, costruito, nel periodo napoleonico, con ciottoli fluviali (→). Esso era parte, già dalla fine del 1500, dell’itinerario che dalle Puglie permetteva di scavalcare questo corso d’acqua per poi proseguire verso Campobasso.
ponte
di campobasso
Una inondazione avvenuta il 22 settembre del 1811, fece
crollare il ponte precedente. Qualche anno dopo, nel 1823, esso fu riedificato
nella struttura attuale e, nel giro di pochi anni (1829), fu completato il
selciato della mulattiera che lo univa al paese.
Oltrepassato
il ponte si giunge alla sponda sinistra del Carapelle e, risalendo verso il
crinale delle colline lambite dal suo corso, si discende il torrente in
direzione di Toro. Si costeggiano cosí masserie, caselle e pagliari, alcuni
abitati, altri abbandonati, che, dallo scorcio del Settecento e fino agli inizi
del Novecento, sono stati i centri primari della produzione dell’agro di Jelsi.
Si raggiunge quindi la sommità del Colle San Martino (3) (circa
roverella del
macchione
Questo tipo di quercia (quercus
pubescens) si contraddistingue soprattutto per il colore grigiastro o
giallastro che hanno i rami piú giovani e la pagina inferiore delle foglie.
Quest’ultime si caratterizzano per essere, rispetto alle altre specie, piú
coriacee e per avere lobi piú spessi. Il fusto è piuttosto tortuoso, molto
ramificato a breve altezza. Esso mostra una corteccia nerastra fittamente
screpolata in placchette quadrangolari e romboidali.
Il legno della roverella è ottimo per ardere, per ricavarne
carboni e traversine ferroviarie. Un tempo la corteccia della roverella era
raccolta per estrarne tannino; le ghiande invece costituivano uno degli
alimenti preferiti dai maiali allevati allo stato brado.
La quercia del Macchione ha presumibilmente circa cinque
secoli di vita; la sua circonferenza, a circa m 1,30 dal piano di campagna, è
di
La tradizione orale tramanda che spesso i briganti, dopo
l’unita’ d’Italia, facevano sosta sotto questa quercia.
Proseguendo la discesa in direzione del fondovalle del Carapelle, si incrocia l’unica quercia da sughero (5) documentata in Molise (→).
quercia da sughero
La quercus suber è
una specie, sempreverde, caratteristica del litorale del Mediterraneo
occidentale. In particolare, essa è diffusa in Italia: in Sardegna, in Sicilia,
lungo i litorali della Calabria, del Lazio e della Toscana. È un albero di statura
medio alta con corteccia spessa e profondamente screpolata. Le foglie hanno i
margini a dentelli, sono di forma acuta, glabre, verdi sulla pagina superiore e
biancastre in quella inferiore. Le ghiande hanno cupola che può racchiudere
metà del frutto.
L’esemplare attestato a Jelsi non è utilizzato per ricavarne
sughero. Essendo, come accennato, l’unico esempio noto in tutta la regione, si
ipotizza che esso sia stato introdotto da individui che avevano rapporti con le
realtà del litorale tirrenico. Da analisi svolte dal Corpo Forestale dello
Stato questa quercia risulta avere: un età di oltre due secoli; la
circonferenza, a circa m 1,30 dal piano di campagna, di
lc
Guadato il torrente si risale in direzione di contrada Serre. Dopo circa dieci minuti di cammino si arriva ad una fonte d’acqua (6) (sorgente “'a Reca”) immersa in una natura lussureggiante a pochi metri da un riparo di mezzi agricoli ricavato da un adattamento di un antico fienile.
Ripreso il cammino in direzione della cresta della collina si raggiunge contrada Serre. Sede della necropoli sannitica di Jelsi (7) (→).
necropoli
sannitica
Le prime tracce di un gruppo sannitico organizzato come
comunità nell’area di Jelsi risalgono allo scorcio del VI secolo a.C. Della
necropoli invece conosciamo solo i resti riferibili a un momento successivo lo
sviluppo del centro (circa duecento anni dopo). Essa era ubicata su un’altura
(m. 616 s.l.m.) a pochi chilometri dal centro urbano. Dagli scavi effettuati
agli inizi del Novecento sappiamo che i defunti di sesso maschile erano
sepolti, inumati e rivestiti di cinturone, in una fossa col piano di fondo
foderato da tegoloni; la sepoltura era chiusa con tegoloni simili, disposti a
mo’ di tettuccio displuviato.
I
testi non firmati sono a cura di F. Napolitano; quelli siglati con LC sono di
L. Cirucci; quelli con MF sono di M. Fratino. Il brano iniziale in corsivo è
stato tratto da G. Palmieri, A. Santoriello (a cura di), Jelsi.
Storia e tradizione di una comunità, Foggia 2005 p. 11.